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Gli scrittori idraulici, lavapiatti e pompieri 2a parte

Creato il 19 giugno 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

Emanuele D'AscanioCome pubblicare il primo romanzo? Cinque esordienti di successo, intervistati da Lorendana Lipperini, raccontano come fare. Questa è la seconda parte, se volete leggere la prima cliccate qui.

Come pubblicare il primo romanzo? Meglio i premi letterari, le agenzie, le scuole di scrittura, o le riviste? Al tavolo con Loredana Lipperini cinque esordienti di successo raccontano come fare. – See more at: http://cronacheletterarie.com/#sthash.r6HcJkNc.dpufCome pubblicare il primo romanzo? Meglio i premi letterari, le agenzie, le scuole di scrittura, o le riviste? Al tavolo con Loredana Lipperini cinque esordienti di successo raccontano come fare. – See more at: http://cronacheletterarie.com/#sthash.r6HcJkNc.dpuf

Marco Cubeddu frequenta la Scuola Holden, nel frattempo fa il pompiere per pagarsi gli studi e esordisce con Come una bomba a mano sul cuore. Se i concorsi degli editori in Italia sono una novità relativamente recente, la Scuola Holden è una realtà più consolidata. Come ha aiutato l’aver frequentato la scuola di scrittura più famosa d’Italia ad arrivare a Mondadori?

Marco Cubeddu
Io sono sempre stato un grande lettore, però da bambino non avevo tanti classici in casa. Quindi ero un grande lettore di Topolino fondamentalmente. Uno dei libri che mi era piaciuto di più da ragazzino, che avevo letto in seconda media, era La coscienza di Zeno. Nella mia formazione La coscienza di Zeno, Lolita e La versione di Barney stanno sullo stesso piano insieme ai Topolini, a Piccoli brividi, Non è la Rai, MacGyver e Baywatch. Il primo romanzo che ho provato a scrivere – avevo otto anni – era un “piccolo brivido” di tre pagine. Mia mamma era Indiana Jones e io dovevo salvare una bambina, Marzia, che ho amato per otto anni. Ho sempre voluto scrivere, però da un certo punto in poi ho scritto praticamente solo poesie. Dopo un percorso scolastico non esattamente brillante – perché a 14 anni sono scappato di casa, ho girato sei scuole, poi sono tornato a casa, ho fatto 5 anni in uno e mi sono diplomato, ricucendo il rapporto con i miei che mi davano per morto – una professoressa mi ha detto: “Perché non fai la Scuola Holden?” Io le ho domandato che cos’era. “E’ la scuola di Baricco”. “E chi è Baricco?”

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Poi mi sono documentato. I miei mi hanno supportato e quindi sono andato alla Holden che avevo 19 anni. Non sapevo che fosse una scuola dove fondamentalmente si va dopo la laurea, per cui i miei compagni avevano una media di 26 anni che è l’età mia oggi. La Holden l’ho vissuta molto da outsider, ma non in maniera fica, in maniera sofferta. Io non avevo mai scritto un racconto: a me interessavano le poesie. Mi interessavano le parole. Ho combattuto due anni con quella scuola che mi diceva: “Scrivi molto bene ma non dici nulla”. Penso che le scuole di scrittura siano salvifiche, nel senso che trasmettono l’idea che la scrittura non sia qualcosa che arriva dall’alto dei cieli sotto forma di ispirazione, ma qualcosa che può essere allenato e costruito. Detto questo potrei passare settimane a dirvi tutti i difetti di questa scuola. Io ne sono uscito senza nulla in mano. Mi ci sono mantenuto facendo il pompiere, però il pompiere precario. Il che non bastava per mantenermi e quindi ho fatto diversi lavoretti, vivendo a Torino in maniera non proprio lineare o pulita. A un certo punto la situazione era insostenibile perché giravo da una casa all’altra e sono tornato a Genova. Sono entrato alla Holden pensando: “Scriverò subito un romanzo”. Ne sono uscito pensando: “Non scriverò mai un romanzo” e dopo due anni di nulla questo romanzo effettivamente l’ho scritto in pochissime settimane. Però non avevo nessun contatto diretto con le case editrici e quindi sono andato a battere il Salone del libro di Torino. La ricordo come una delle esperienze più tristi della mia vita perché giravo per gli stand cercando di pietire l’attenzione di qualche editore. Insomma ho raccolto un po’ d’indirizzi mail e ho mandato il manoscritto a un po’ di editori. Questo a maggio. Nei primi giorni di giugno mi chiama Antonio Franchini di Mondadori e mi sveglia tra l’altro.
Rispondo: “Pronto”. “Sono Antonio Franchini” pausa.
Lui è un personaggio pericoloso perché è un grande editore, ma soprattutto è un grande picchiatore, esperto di arti marziali. In ufficio ha coltelli e catane. Io avevo commesso l’imprudenza di metterlo come personaggio del mio romanzo. Il protagonista di Con una bomba a mano sul cuore è uno scrittore molto famoso che ammazza l’amore della sua vita che sta per sposarsi con un altro e scappa. Dopo dieci anni, da latitante, scrive la confessione di quello che ha fatto, ripercorrendo la storia della sua vita che viene pubblicata da questo Antonio Franchini, noto picchiatore-editor.
Con una bomba a mano sul cuore

Insomma lui mi chiama dicendo: “Sappi che sto leggendo il tuo manoscritto” pausa. “Aspettati di essere ricontattato a breve” stop. In breve passano due mesi. Intanto faccio il runner in un film. Il runner è praticamente uno schiavo. Io portavo il caffè a Scamarcio. Questo a Genova. Quindi mentre ero lì a portare il caffè a Scamarcio mi chiama un’altra casa editrice che mi dice: “Abbiamo letto il tuo manoscritto, ci piace, firma il contratto”.
Non era una casa editrice che amavo moltissimo, perciò ho mandato una mail a Franchini per dirgli che avevo ricevuto una proposta. Lui la mattina dopo mi chiama, m’insulta a morte, mi minaccia anche e poi mi passa il suo fidato collaboratore. Ricordo le telefonate con lui come qualcosa di surreale perché mentre facevo il runner questo pazzo mi continuava a dire: “Genio, genio!” E io non capivo se era pazzo o se mi prendeva in giro. Poi ho scoperto che dice “genio” a chiunque. Io non pensavo che le case editrici leggessero davvero i manoscritti e continuo a pensare che questo non avvenga. Ma è me è effettivamente successo.

Cubeddu ci ha appena rivelato che non solo Mondadori legge i manoscritti ma che addirittura telefona Antonio Franchini a casa. Sono storie decisamente rare ma accadono. Infine c’è Fabio Deotto che pubblica il primo libro con Einaudi Stile Libero. Il suo Condominio R39 qualcuno lo definisce gotico, qualcun altro horror, qualcun altro ancora thriller. In realtà è un romanzo non di genere ma che anzi forza i generi a proprio vantaggio. Deotto come è arrivato a Einaudi Stile Libero?

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Fabio Deotto
Io in realtà parto da due ambienti che con la letteratura e la scrittura c’entrano veramente poco, che sono la musica punk e le biotecnologie. Quando avevo 16 anni suonavo in un gruppo punk, poi ho fatto altri mestieri ed ero innamorato della filosofia. Scrivevo di notte delle cose illeggibili che però io pensavo fossero importantissime. Quando poi ho finito il liceo mi sono ritrovato a decidere cosa fare della mia vita. Mi piaceva così tanto filosofia che mi sono iscritto a biotecnologie. Perché? Perché al tempo la volgata secondo cui se tu hai una laurea scientifica poi trovi il lavoro, mi aveva sedotto. E questo in realtà è stato un bene, anche se me ne pento ancora. Chi leggerà il libro capirà perché. Dopo un anno, o due circa, capisco che si tratta essenzialmente di chimica e che quello che piaceva a me, ovvero l’evoluzionismo e la genetica, era veramente marginale. Allora decido che quando mi sarò laureato con la triennale mi metterò a scrivere. Nel frattempo cerco lavoretti e scrivo un primo romanzo che era una sorta di distopia stile 1984 di Orwell. Inizio a proporre questo romanzo. Vado anch’io alla fiera del libro di Torino, dove ho la fortuna di incontrare Luca Briasco che al tempo lavorava per Fanucci. Gli do il manoscritto, poi lui non si fa più sentire perché probabilmente non gli è piaciuto. Alla fine decido di provare con le agenzie letterarie. Vengo reclutato da un’agenzia che non nomino perché le cose sono finite veramente male. Per due anni lavoriamo su questo romanzo. Mi dicono che verrà pubblicato sicuramente. Era un’agenzia seria che pubblica autori importanti. Dopo numerose stesure, dopo che io capisco che cosa significa scrivere veramente, l’agenzia non presenta più il libro. “La fantascienza non va in questo momento” mi spiegano – in realtà non era fantascienza – e mi dicono di scrivere un noir. Io dico: “No, io non ce la faccio a scrivere a comando. Tra l’altro i noir non li leggo”.
Quindi ho scritto un altro libro che era una sorta di thriller satirico sulla televisione italiana che non viene apprezzato assolutamente e io mi ritrovo che avevo mollato l’università, avevo anche mollato i pochi lavori che avevo trovato per concentrarmi sul libro perché, cavolo, avevo firmato con un’agenzia letteraria! Sono completamente a piedi con due romanzi che non so a chi far leggere. Allora mi trovo un lavoro come galoppino di un giornale di provincia, lavorando giorno e notte, sabato e domenica. Praticamente sempre. Nel frattempo sono a tanto così da mollare la scrittura. Adesso c’entra la musica punk perché in quella situazione abbastanza disperante, nel 2008, mi sono detto: “Ma quando io faccio il musicista non è che conosco la Emi o la Virgin, però ci riesco perché il musicista ha la possibilità di andare col suo gruppo in un localino sgangherato, fare le sue canzoni e qualcuno prima o poi lo ascolta. C’è qualcosa di simile nel panorama letterario italiano che sono le riviste indipendenti. Perciò ho iniziato a martellare le riviste
linus terrore
indipendenti e a cercare quelle che potevano essere nei miei canoni, anche perché avevo un agente che mi raccontava che arrivano tante idee in maniera del tutto acritica. Gente che manda un romanzo su Madre Teresa alla Fanucci. Dopo un bel po’ di rifiuti, dopo aver scritto molti racconti, una rivista decide di darmi credito. Si chiama Eleanor Rugby, ora non c’è più, ma è stata una delle più importanti. Dovevano fare un ultimo numero sul western e mi dicono: “Ci piace come scrivi, devi scrivere un racconto western” e io dico: “Sì, ma a me il western non piace”. “Meglio. E’ una sfida”. E io cosa ho scritto? Un racconto distopico, ambientato in una Milano post apocalittica, dove alla fine tutto era ritornato come se fosse un western. Questo racconto piace. La rivista non viene mai pubblicata, ma nel frattempo quella buonanima di Matteo B.Bianchi sta cercando racconti per fare una rassegna su Linus e quindi pubblicano il mio racconto come manifesto di quella rivista. Da lì altre riviste mi contattano e inizio a pubblicare altri racconti. Io devo tutto a due persone splendide che sono Giorgio Fontana e Marco Missiroli, che leggono i miei racconti e gli piace il mio modo di scrivere. Così quando scrivo il terzo romanzo, quello che ho pubblicato adesso e che ha richiesto una gestazione di almeno cinque anni, lo leggono e usano i loro piccoli contatti con Einaudi Stile Libero: lo fanno arrivare a Francesco Colombo che è il mio editor. Nel giro di un mese, io ero a Saragozza in un monolocale di 17 metri quadri dove convivevo con la mia ragazza, stavo facendo l’insalata e mi suona il cellulare. Tra le scariche sento le parole “Einaudi” e “Libero” e cade la linea. Penso: sarà qualcuno che mi dice che è uscito un libro di Einaudi… poi dopo un po’ mi richiamano: “Ciao Fabio, ho letto il tuo libro, sono Francesco Colombo di Einaudi Stile Libero”. E lì mi viene un coccolone.

Fine della seconda puntata


Nella terza e ultima puntata i cinque esordienti racconteranno se è vero che oggi pubblicare il secondo romanzo è più difficile che pubblicare il primo.


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