Gli “sdraiati”, ovvero gli adolescenti e i tardo adolescenti di oggi, consumisti, omologati, ipertecnologici e sovrastimolati, e i “panchinari”, ossia i quarantenni del nostro tempo, rottamatori sulla carta ma rassegnati nella vita vera, di cui non sono protagonisti attivi ma spettatori passivi: così inquadrano la generazione anni ’90 e quella anni ’70, rispettivamente, i giornalisti e scrittori Michele Serra e Andrea Scanzi nelle loro ultime fatiche, aventi entrambe ad oggetto la tematica generazionale . La stessa è affrontata in maniera differente dagli autori -nel romanzo “Gli Sdraiati”. Serra analizza, non mancando di fare autocritica con riferimento alle sue capacità di padre, la generazione di appartenenza del figlio mettendone amorevolmente in risalto gli innegabili e vistosi difetti, mentre nel saggio “Non è tempo per noi. Quarantenni: una generazione in panchina”, Scanzi delinea un impietoso ritratto della generazione cui appartiene, all’apparenza felicemente rassegnata all’idea di vivere nelle retrovie- i quali, però, usano ambedue la chiave dell’umorismo, talvolta caustico, per delineare le peculiarità di due generazioni solo temporalmente distanti tra loro. Se è assolutamente vero che la tematica affrontata non è né nuova né originale, è altresì veritiero che la medesima risulta d’indiscutibile interesse; peccato soltanto che riporti l’attenzione su due generazioni alle quali la considerazione, fortunatamente, attualmente non manca. Lo stesso, purtroppo, non può dirsi per la generazione dei trentenni, ai quali nessuno ha recentemente pensato di tributare un po’ di attenzione. Dei trentenni, quelli nati nei “favolosi anni ‘80” -gli anni dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II, della Caduta del Muro di Berlino, del matrimonio di Carlo e Diana, del disastro di Chernobyl, dell’annuncio al mondo dell’esistenza dell’A.I.D.S., della Nazionale di calcio italiana Campione del Mondo-, sovente celebrati e rimpianti all’interno di seguitissime trasmissioni televisive, nessuno sembra ricordarsi e preoccuparsi: tra gli sdraiati e i panchinari ci sono loro, “i dimenticati”. Dimenticati anzitutto dalle istituzioni, che si danno un gran da fare (almeno sulla carta) per adottare misure atte a contrastare la disoccupazione dei giovani nella fascia 18-29 e a debellare il fenomeno dei neet, che fanno il possibile per favorire il reinserimento nel mercato del lavoro dei cinquantenni e per garantire la fruizione degli ammortizzatori sociali a chi già ne beneficia, ma che paiono non muovere un dito per far fronte alla pure elevata disoccupazione/inoccupazione che colpisce i giovani non più giovani appartenenti alla fascia 30-40; dimenticati dalla letteratura, dal cinema e dal teatro, che preferiscono concentrarsi sui giovanissimi, sulla mezza età e ultimamente anche sulla terza età, forse. Dimenticati, infine, non sempre ma spesso, anche dalla famiglia d’origine, stanca di trovarsi tra i piedi persone non autonome (e poco importa che lo siano non per loro volontà) che gravano sul bilancio familiare e che finiscono per assumere le sembianze dei vituperati “bamboccioni”. Destinati, nella migliore delle ipotesi, alla precarietà eterna, i trentenni di oggi appaiono condannati a sopportare, unitamente al peso di un presente gramo e di un futuro plumbeo, l’umiliazione dell’invisibilità sociale. Senza lavoro o con un lavoro precario, impossibilitati a contrarre un mutuo o costretti alla coabitazione o al mancato affrancamento dalla famiglia d’origine, obbligati a non procreare per ragioni economiche, indotti a formarsi continuativamente a pagamento nella vana speranza di poter competere con i giovani più preparati, alla generazione anni ’80 non resta che augurarsi di riuscire a segnare il gol della bandiera: salvare la propria dignità e guadagnarsi il dovuto rispetto. In un ‘epoca di “sdraiati”e “panchinari” , non è certo cosa da poco.
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