“La Russia ha subito un’orribile catastrofe. È precipitata in un abisso tenebroso. […] A uno sguardo superficiale sembra che in Russia sia avvenuto un rivolgimento radicale mai visto. Ma un esame più profondo e penetrante rivela nella Russia attuale il volto rivoluzionario della vecchia Russia, quegli spiriti da tempo messi in luce nell’opera dei nostri grandi scrittori, i demoni che da tempo si sono impossessati degli uomini russi”.
Le rivoluzioni non fanno altro, per Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, che portare in luce le malattie che si celano all’interno di un popolo. Nella rivoluzione russa si può ritrovare la Russia di Gogol’ e di Dostoevskij, con, nondimeno, molte importanti valutazioni già presenti in Tolstoj.
Gogol’, scrive Berdjaev, ebbe un senso molto forte del male e non ebbe nemmeno il conforto che Dostoevskij trovò nel personaggio di Zosima e nel contatto con la madre Terra. Egli non dispone di tutte queste vie d’uscita e non può sfuggire ai volti demoniaci che lo circondano.
La vecchia scuola dei critici russi, ammonisce l’Autore, era troppo razionalista e “progressista” per rendersi conto del carattere sinistro dell’arte gogoliana. Gogol’ è una manifestazione artistica del male quale principio metafisico e interiore, non del male sociale ed esteriore legato al sottosviluppo politico e all’ignoranza. La bassezza disumana vista da Gogol’ non dipende da cause socio-politiche, ma ha generato tutto il male del vecchio regime.
Gogol’ credeva nell’uomo, ne cercava la bellezza, ma non la trovò in Russia. Alla sua arte fu dato di scoprire i lati negativi e tenebrosi del popolo russo.
Nella rivoluzione russa, scrive Berdjaev, “emerse la vecchia Russia gogoliana di sempre, la Russia inumana e semibelluina dei ceffi e dei musi. Nell’insopportabile meschinità rivoluzionaria, c’è l’eterno gogoliano. Le speranze che la rivoluzione avrebbe portato alla luce l’immagine dell’uomo in Russia, che la persona umana si sarebbe elevata in tutta la sua statura dopo la caduta dell’autocrazia, si rivelarono vane” .
Gogol’ vide nella disonestà una caratteristica legata al mancato sviluppo della personalità umana in Russia: da ciò deriva anche la meschinità che, in Gogol’, ci opprime, prosegue l’Autore, e oppresse Gogol’ stesso. La rivoluzione russa è il finale della tragicommedia gogoliana. Se Gogol’ non si vide subito nella rivoluzione russa, Dostoevskij ne fu il profeta: egli scoprì che il rivoluzionario russo è un fenomeno metafisico-religioso e non socio-politico.
Il metodo dostoevskijano, prosegue Berdjaev, è diverso da quello gogoliano: mentre Gogol’ è un artista, Dostoevskij è anzitutto un grande psicologo e un grande metafisico; scopre, infatti, il male all’interno della vita psichica dell’uomo e del suo pensiero dialettico. In Dostoevskij, a differenza che in Gogol’, si conserva sempre l’immagine dell’uomo e il suo destino si rivela dall’intimo: il male non distrugge definitivamente l’immagine dell’uomo. Dostoevskij crede che per mezzo di una catastrofe interiore il male possa trasformarsi in bene, e perciò la sua opera è meno terribile di quella di Gogol’, che non lascia alcuna speranza.
“Nell’uomo russo, l’apocalittico e il nichilista sono tanto mescolati e confusi che è difficile distinguere questi principi politicamente contrapposti”. Dostoevskij ha svelato fino in fondo l’apocalisse e il nichilismo dell’anima russa e ha dunque indovinato il carattere che avrebbe assunto la rivoluzione russa: essa è un fenomeno religioso, ossia è il problema di Dio e dell’immortalità. Nello specifico, il socialismo rivoluzionario russo non ha mai pensato a se stesso come ad uno stadio transitorio, bensì come un assetto definitivo: il regno di Dio sulla Terra, soluzione del problema dei destini dell’umanità. Come si vede, è anzitutto una questione religiosa e spirituale.
Dostoevskij penetrò più a fondo i segreti del nichilismo russo e ne avvertì il pericolo. “Ivan Karamazov è il filosofo del nichilismo e ateismo russi; egli proclama la ribellione contro Dio e contro il Divino per motivi molto elevati, perché non può più accettare la più piccola lacrima di un bambino innocente tormentato”.
Per bocca di Ivan Karamazov, Dostoevskij pronuncia la condanna delle teorie positiviste del progresso e delle utopie edificate sulle sofferenze delle generazioni precedenti. Il progresso dell’umanità non ha alcun valore di fronte alle tribolazioni del singolo. Il problema impostato da Ivan è una ribellione contro l’ordine divino del mondo, di un rifiuto del destino umano determinato dalla divina Provvidenza, dettato da una falsa e inconcludente compassione per l’uomo portata fino all’odio.
Dostoevskij mise dunque a nudo le radici sotterranee di questo nichilismo, e comprese altresì che il grande problema del destino individuale di ogni uomo si risolve alla luce della coscienza religiosa. Dostoevskij mostrò che la natura dell’animo russo è un terreno fertile per le seduzioni dell’anticristo: la coscienza del rivoluzionario russo è apocalittica, poiché egli brama la fine, il compimento della storia e l’inizio di un processo meta-storico in cui si realizzi il regno dell’uguaglianza e della libertà sulla Terra. Il rovescio di questa visione apocalittica è il nichilismo, con il suo rifiuto del mondo storico e dei fondamenti spirituali della storia.
Dostoevskij comprese che, nel socialismo rivoluzionario agisce lo spirito del Grande Inquisitore: la religione del socialismo accoglie tutte le tentazioni respinte da Cristo nel deserto in nome della libertà dello spirito umano: la tentazione di trasformare le pietre in pane, la tentazione del miracolo sociale e la tentazione del regno di questo mondo. Dostoevskij denuncia altresì la mistificazione del socialismo e la sua pericolosità, mascherata da filantropia; d’altro canto, lo scrittore di San Pietroburgo non sosteneva l’ordinamento “borghese”: professava un singolare socialismo ortodosso in antitesi a quello rivoluzionario.
Tutti i personaggi de “I demoni”, in una forma o nell’altra, predicano il messianismo rivoluzionario; in Šatov, interiormente diviso, la coscienza slavofila si mescola a quella rivoluzionaria. La rivoluzione russa, commenta Berdjaev, è piena di questi Šatov “e tutti, come il personaggio di Dostoevskij, sono pronti a gridare fino al delirio che il popolo rivoluzionario russo è il popolo teoforo, ma non credono in Dio”.
Dostoevskij ebbe un debole per Šatov e ne sperimentò in se stesso, come si evince dalla sua biografia, le seduzioni, ma in virtù della sua intuizione artistico-religiosa ne denunciò senza pietà il personaggio.
Al centro della demonicità rivoluzionaria vi è la figura di Pëtr Verchoveskij: in questo personaggio viene messo a nudo lo strato più profondo e nascosto del demoniaco spirito rivoluzionario. Dostoevskij ha (di)mostrato come un’idea falsa e perversa porti alla dissoluzione della personalità, falsa e perversa come la passione per il livellamento universale, la ribellione contro Dio in nome della felicità universale e la sostituzione del regno di Cristo con il regno dell’anticristo: Dostoevskij previde che, in Russia, la rivoluzione sarebbe stata triste e tenebrosa e che non avrebbe segnato una rinascita del popolo. Non esiste alcuna democrazia, nella rivoluzione, e chi governa è una minoranza tirannica, animata dall’idea del livellamento forzato universale.
Nondimeno, Dostoevskij descrisse il fenomeno dell’amore per l’anticristo: “egli ha compreso come nessun altro che il fondamento spirituale del socialismo è la volontà di edificare il regno di Dio sulla terra senza Dio, di realizzare l’amore tra gli uomini senza Cristo che è la fonte dell’amore. Così egli svela la menzogna religiosa dell’umanesimo nelle sue manifestazioni estreme”. Questa forma di socialismo distrugge l’uomo come immagine e somiglianza di Dio ed è altresì nocivo per la libertà dello spirito umano, che tanto importante è nel pensiero berdjaeviano.
Tolstoj non avrebbe, dal canto suo, nulla di profetico:” […] non possedette quella sensibilità per il dinamismo della natura umana presente in sommo grado in Dostoevskij”. Nella rivoluzione russa, precisa l’Autore, trionfano le valutazioni morali tolstojane.
“Io vedo la malattia della coscienza morale russa anzitutto nel suo rifiuto della responsabilità morale personale e della disciplina morale personale, nel suo scarso sviluppo del senso del dovere e dell’onore, nella mancanza di consapevolezza del valore morale delle qualità personali”. La cosa più difficile, per l’animo russo, è convincersi che egli stesso è l’artefice del suo destino.
Tolstoj è un individualista, commenta Berdjaev: non considera la persona, e la vita divina sarebbe la vita impersonale e comunitaria, nella quale scompaiono tutte le differenze qualitative. Nondimeno, Tolstoj scivola nel nichilismo, non avendo capito che la natura della persona non è livellamento, ma affermazione.
“Nello spirito del massimalismo tolstojano, la rivoluzione russa vorrebbe strappare ciascuno dal tutto universale e storico cui organicamente appartiene, vorrebbe trasformarlo in un atomo per sottometterlo immediatamente al collettivo impersonale. […] La rivoluzione russa in questo gli è fedele [...]”.
Berdjaev usa parole di fuoco e condanna Tolstoj senza pietà: “Tolstoj è il vero avvelenatore dei pozzi della vita, la riflessione morale tolstojana è un vero tossico, un veleno che distrugge ogni energia creatrice e mina la vita”. Tolstoj non fece altro, secondo l’Autore, che idealizzare il popolo, vedendo in esso la fonte della verità e, mentre adorò il lavoro fisico, disprezzò ogni creazione spirituale (seppur fosse scrittore egli stesso).
Nel radicale appello tolstojano alla perfezione e alla santità mancava la grazia e Dio stesso veniva rifiutato: nello spirito di Tolstoj non c’era nulla dello spirito di Cristo. Tutto ciò conduce fatalmente al nichilismo. La strada per il risanamento spirituale della Russia, conclude Berdjaev, passa attraverso il superamento del tolstojanesimo.
“Gli spiriti della rivoluzione russa” è un testo breve, che coinvolge filosofia, letteratura, storia e società, di agile lettura e intenso, specialmente nella spietata analisi della responsabilità morale e spirituale tolstojana alla rivoluzione russa.
Vi si legge costantemente la lucida critica di Berdjaev agli errori e agli orrori del bolscevismo; critica lucida ed amarissima di chi, dapprima entusiasta sostenitore, si accorse prima di altri a cosa avrebbe portato la Rivoluzione d’Ottobre.
Written by Alberto Rossignoli
Fonte
N. A. Berdjaev, “Gli spiriti della rivoluzione russa”, Mondadori, Milano 2001