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Gli stipendi dei parlamentari italiani

Creato il 10 maggio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

         di Matteo Boldrini

Negli ultimi giorni uno degli argomenti di cui si è parlato di più all’interno della discussione pubblica è stata la questione degli stipendi dei parlamentari.

Il movimento grillino, entrato in Parlamento di recente, da tempo si faceva portatore di una revisione dei costi della politica e delle indennità di deputati e senatori, considerate eccessive, immeritate ed inique. La questione degli stipendi dei parlamentari italiani è una questione che si manifesta periodicamente, insieme al finanziamento pubblico ai partiti e all’editoria, quando si viene a creare un senso di sfiducia e di risentimento verso i partiti ed il personale politico. È un argomento estremamente delicato, perché da una parte devono essere garantiti alcuni principi che rendono veramente democratico un sistema politico, dall’altra si deve sempre evitare che questi principi diventino privilegi indebiti. In un momento di recessione, di tagli alla spesa pubblica, di sacrifici generalizzati, questi privilegi diventano particolarmente odiosi agli occhi dell’elettorato e della popolazione, specie se la classe politica è fortemente delegittimata di fronte ad essi.

foto e dati investireoggi.it

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Il problema delle indennità si aggiunge poi a quello del numero dei parlamentari, poiché 630 deputati e 315 senatori (con competenze più o meno identiche) sembrano un numero eccessivo, con la conclusione che devono essere pagate indennità esagerate ad un numero troppo alto di politici. Senza dubbio le cifre pagate ai membri di Camera e Senato (tanto per citare solo gli organi “elettivi”) sono cifre considerevoli, se paragonate a quelle di una persona comune, e si potrebbe procedere ad una riduzione, annunciata ma mai messa in opera, dei membri delle due Camere. Tuttavia non si può prescindere da un principio che è garanzia di democrazia come quello delle indennità parlamentari ed è più utile al dibattito riuscire a parlarne in maniera non ideologica e punitiva per le inefficienze della classe politica.

La retribuzione per il personale politico di un paese nasce come incentivo alla partecipazione alla vita pubblica per tutti quei ceti sociali più poveri che, dovendo lavorare per mantenersi e senza poter contare su rendite autonome, non avrebbero potuto, anche se eletti, partecipare ad un impegno continuo come quello di un’assemblea elettiva, e garantisce inoltre il suo totale impegno nell’attività parlamentare, senza dover pensare anche alla propria professione. Ovviamente niente vieta che al mutare delle condizioni politiche un vecchio diritto si trasformi in privilegio, ma questo principio è ancora attuale sia per le classi più svantaggiate che per i giovani. Per quanto riguarda la quantità, che sembra ovviamente eccessiva, bisogna però ricordare come essa debba essere anche baluardo contro l’incorruttibilità della classe politica, vista la disponibilità finanziaria enorme di cui dispongono le lobby e i gruppo di pressione. Invece che parlare di eliminazione o riduzioni punitive sarebbe più utile a mio avviso mettere in atto una vera trasparenza ed una rendicontazione capillare  delle spese.

Infine uno dei principi che viene messo più spesso sotto attacco è quello della cosiddetta “autonomia finanziaria delle Camere”, secondo la quale ogni Camera stabilisce da sola la propria dotazione finanziaria. Semplificando un po’ tutto il processo, ci si chiede come possa un organo ridursi la propria dotazione finanziaria se è lui stesso che decide quando, come e se farlo. Il principio dell’autonomia finanziaria è a garanzia che nessun altro organo, come il governo, possa cercare di rendere più “docile” e disponibile il Parlamento, stringendo i cordoni della borsa e riducendogli la propria disponibilità economica. Sempre per restare in tema di costi della politica e degli enti pubblici, credo che una grande fetta di essi rimanga non solo esorbitante ma anche oscura, e va dato almeno merito alla Camera e al Senato di aver reso abbastanza trasparente la cosa, pubblicando opportune voci sul trattamento economico dei loro membri, mentre non è spesso possibile rintracciare la spesa di altri enti. Basti pensare ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni o alle indennità di consiglieri regionali, fortunatamente ridotti di numero dal governo Monti. E il tema dei consigli regionali ci dovrebbe anche far riflettere su come sono distribuiti i costi, un tema di cui raramente si parla e ancor più raramente si prendono provvedimenti, poiché sembra assurdo che un consigliere regionale possa vantare un’indennità superiore o comunque sproporzionata rispetto a quella del sindaco della più grande città della regione, quando su un sindaco pendono anche responsabilità di governo cittadino, con tutte le responsabilità politiche e penali che ne conseguono.

Per concludere, se la protesta è la spinta iniziale che induce a trattare e modificare un tema, bisogna stare attenti a non permettergli di annebbiare la capacità di giudizio ed impedire lo svolgersi di una chiara e limpida discussione. Il dibattito si è svolto interamente intorno al nostro organo legislativo e ciò è anche normale in quanto da sempre, in un momento di crisi, si attacca il Parlamento per via della lunghezza eccessiva delle sue discussioni e in quanto formato da una “casta” di politici di professione, che guardano solo ai loro interessi. Tuttavia non bisogna dimenticare che esistono anche tante inefficienze fuori da esso, sia nel pubblico che nel privato. Certo che esiste un problema in relazione alle indennità troppo elevate dei parlamentari, ma esso è percepito come tale soprattutto adesso, in quanto vi è una crisi di legittimità dei partiti e della maggioranza dei politici, spetta dunque alla classe politica sanare questo deficit, operazione ben più ardua di una già complessa riduzione delle indennità.

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