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Gli Usa “comprano” il Papa in leasing

Creato il 25 settembre 2015 da Albertocapece

papa francesco in Campidoglio UsaI media mainstream quando sono di fronte a qualcosa che possono liberamente interpretare anche se con le dovute cautele e devozioni, sono talmente disabituati a farlo che non sanno che pesci pigliare, si fanno guidare dalla retorica che essi stessi creano e spesso prendono cantonate. Così la visita del Papa a Washington viene vista come una sorta di benigna e riuscita invasione vaticana di un Paese che proprio per la sua tutela delle libertà religiose è sempre stato diffidente, a volte apertamente ostile nei confronti della Santa Sede.

Ma tutto sta ad indicare il contrario: dietro l’apparenza del primo Papa che interviene al congresso e parla della pena di morte, dell’immigrazione, della povertà e delle guerre in maniera tale da spiacere non solo ai repubblicani, ma anche a buona parte dei democratici, c’è in realtà il desiderio di includere anche il soglio pontificio e soprattutto la sua autorità morale e simbolica dentro il Washington consensus allargato oltre le soglie dei dettami economici. Non c’è dubbio che gli Usa siano la maggiore fonte di finanziamento della chiesa, così come non c’è alcun dubbio che la crescita tumultuosa dei latinos  e la frammentazione sempre più evidente degli evangelici, abbia aumentato di molto l’influenza dei cattolici nel Paese tanto che ora sono addirittura sovra rappresentati a livello politico istituzionale. Quindi c’è un certo rimescolamento di carte rispetto al passato anche se rimane sempre l’antico timore che la forza del Vaticano finisca per orientare le scelte degli Usa: non è certo un  caso se il Papa nel suo discorso abbia insistentemente citato due “grandi” cattolici americani come Dorothy Day e Thomas Merton, entrambi convertiti, a riprova, oltre al suo stesso essere nativo del continente, che l’America può dire la propria, esprimere un proprio peculiare cattolicesimo.

Ma l’invito straordinario a parlare al congresso non nasce da questa crescita di influenza, peraltro psicologicamente bilanciata dagli scandali sulla pedofilia, si innesta invece sulla scarsa attitudine degli Usa a concepire il declino e dunque a trovare giustificazioni e ragioni della propria dichiarata eccezionalità. Dopo la cosiddetta vittoria sull’ “Impero del male” sembrava che lo status di unica superpotenza e di regolatore mondiale dovesse durare per sempre, invece proprio l’assenza di un competitore su tutti i piani, ha indotto un senso di onnipotenza origine di molti errori moltiplicatisi a catena, mentre la contemporanea affermazione del liberismo selvaggio ha trasferito altrove prima le fabbriche e poi le competenze, completando il quadro della perversa economia da finanza. La crisi ha portato in seguito all’era Obama che in realtà non è altro che il risvolto istituzionale di uno stato di confusione: il primo presidente nero era una specie di tentativo inconscio di recuperare credibilità, ma la politica tutta wasp espressa dalla Casa Bianca, specie nel secondo mandato e sfociata negli immani e tragici pasticci in Ucraina e Siria, forse anche stimolati dal governo ombra delle lobby, ha fatto naufragare il tentativo di recuperare autorità morale.

Così si cerca di rimediare attraverso l’associazione mediatica alla più rispettata istituzione religiosa, dotata di una straordinaria forza simbolica, ancorché anch’essa in grande crisi: se ormai il sistema interno non riesce più a esprimere ideali e a essere centro di riferimento per il pianeta, allora tanto vale acquistare questa merce all’esterno e usufruire del marchio, secondo un collaudato sistema di sponsorizzazione. Il Papa attuale sembra essere un ottimo investimento in questo senso, anche perché il pontefice argentino (su sei discorsi ufficiali due in inglese e quattro in spagnolo) può far recuperare immagine nelle quasi ex colonie del Sud America, come in un’anacronistica versione ritoccata della dottrina di Monroe. Due crisi che si sostengono assieme.


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