Ieri ho partecipato a un evento significativo: il lancio dell’iniziativa Global Business Bridges. Ne parlerò in modo dettagliato in seguito, mi limito per adesso a offrire qualche dato e qualche spunto di riflessione. Il progetto è di marca europea (protagonista, la delegazione della Commissione europea in Turchia): e punta alla creazione di partenariati trilaterali tra imprenditori europei (dei 27), turchi e di paesi dell’area mediterranea e mediorientale – nella prima fase pilota: Egitto, Tunisia, Palestina – per assicurare opportunità di sviluppo e di business. La presentazione è stata curata nei minimi dettagli, presso la sede della Tobb (l’Unione delle camere di commercio): è stato illustrato lo studio di fattibilità realizzato dal think tank turco Tepav e da quello spagnolo IEMed, che hanno individuato – sulla base di una metodologia che si vuole innovativa – delle aree di attività economica dove il progetto sembra avere migliori chances di successo; erano presenti ambasciatori, funzionari europei, uomini d’affari, il vice-ministro dell’economia, i rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali turchi, ospiti dei paesi coinvolti: che hanno discusso lungamente su come dare sostanza al trilateralismo auspicato (nei prossimi mesi verranno selezionati gli imprenditori da coinvolgere e verranno creati i partenariati sulla base delle complementarietà economiche).
Ho tre forti perplessità, però: lo studio di fattibilità mi sembra un esercizio molto scolastico, fatto di numeri precisini ma privo degli slanci – delle idee genali e di rottura – tipici degli imprenditori; non è ben chiaro quali saranno le linee di finanziamento disponibili; verranno demandate agli uffici commerciali delle ambasciate e alle organizzazioni di categoria le procedure di selezione, che non mi hanno dato l’impressione di essere troppo trasparenti (non sarebbe meglio dare all’iniziativa la massima pubblicità e lasciare ai singoli imprenditori la possibilità di avanzare la propria candidatura?).
Resta il fatto che è un’ottima idea quella di sfruttare i legami degli imprenditori turchi in questi paesi per assicurare – in questa fase di rapido cambiamento – una maggiore penetrazione europea.
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