L’Intelligence National Council, organismo collegato alla Intelligence Community (IC) statunitense, che svolge compiti di analisi strategica a medio e lungo termine, ha pubblicato il suo rapporto sul trend politico-economico globale per i prossimi quindici anni (Global Trends 2030: Alternative Worlds.) Il documento fornisce un orientamento ai decisori politici e agli attori economici sugli sviluppi della situazione mondiale, esaminando i fronti geopolitici, con particolare attenzione ai temi della sicurezza nazionale.
In questa relazione vengono evidenziati 4 megatrends caratterizzanti la prossima fase globale, 6 criticità essenziali, a causa delle quali dovrebbero verificarsi radicali trasformazioni nella composizione dei rapporti di forza internazionali, e quattro probabili esiti delle mutazioni in atto nei contesti regionali e sovranazionali.
I megatrends sui quali si concentra il resoconto sono:
Individual empowerment: tale fattore accelererà, grazie alla riduzione della povertà, alla crescita della classe media mondiale, ai più elevati livelli di istruzione, all’uso diffuso delle nuove comunicazioni e tecnologie di produzione, e ai miglioramenti nel settore dell’assistenza sanitaria. Diffusion of Power: I prossimi decenni saranno contrassegnati da un potere egemonico non più concentrato in un solo paese o area. Il Potere sarà maggiormente diffuso. Entreremo in un’epoca multipolare con più potenze che si confronteranno per la leadership mondiale. Demographic patterns. L’arco di instabilità demografica si stringerà. La crescita economica declinerà nei paesi troppo “invecchiati”. Il sessanta per cento della popolazione mondiale vivrà in aree urbanizzate ed aumenterà la migrazione. I Paesi in via di invecchiamento, meno dinamici di quelli più “giovani”, dovranno affrontare una dura battaglia per mantenere i loro standard di vita. Food, Water, energy nexus: l’incremento della popolazione planetaria farà salire la domanda di queste risorse. Occorrerà affrontare i problemi relativi alla scarsità di merci e materie prime, sia dal lato dell’offerta che della domanda.
Le criticità principali derivanti da queste situazioni, che aprono altrettanti interrogativi, riguardano:
Crisis-Prone Global economy: la volatilità globale e gli squilibri tra giocatori con diversi interessi economici determinerà un crollo del sistema mondiale? Oppure, la multipolarità porterà ad una maggiore capacità di recupero dell’ordine economico globale? Governance Gap: I governi e le istituzioni saranno grado di adattarsi abbastanza velocemente per sfruttare il cambiamento invece che essere sopraffatti da esso? Potential for Increased conflict: i rapidi cambiamenti e shifting di potere causeranno maggiori conflitti intrastatali e interstatali? Wider scope of regional Instability: l’instabilità regionale, specialmente nel Medio-oriente e nell’Asia del sud, esploderà creando elevata insicurezza globale? Impact of new Technologies: Le innovazioni tecnologiche si svilupperanno adeguatamente nel tempo per aumentare la produttività economica e risolvere i problemi causati da un aumento della popolazione mondiale, dalla rapida urbanizzazione e dal cambiamento climatico? Role of the United states: Gli Usa saranno in grado di lavorare con i nuovi partners per reinventare un sistema internazionale equilibrato ed efficiente?
Possibili esiti mondiali:
Stalled Engines: nel caso di scenario più pessimistico, aumenteranno i rischi di conflitti interstatali. Gli Usa si richiuderanno al loro interno e la globalizzazione andrà in stallo, con conseguenze non pienamente immaginabili. Fusion: nel caso di scenario più ottimistico, gli Usa e la Cina (l’Asia, secondo il rapporto, nel 2030 supererà gli Usa e l’Europa per global power basato su Pil, spesa militare, crescita della popolazione e investimenti tecnologici, mentre, già negli anni imminenti, l’Impero di Mezzo sarà la più grande economia mondiale) collaboreranno su una serie di questioni, che porteranno ad una cooperazione globale più ampia. Gini-Out-of-the-Bottle: le disuguaglianze potrebbero esplodere, alcuni paesi vinceranno la sfida ed altri falliranno. L’aumento delle disparità all’interno dei paesi determinerà una deflagrazione delle tensioni sociali. Senza disimpegnarsi del tutto, gli Usa perderanno, tuttavia, il ruolo di poliziotto mondiale. Nonstate world: trainati dalle nuove tecnologie, gli attori non statali (cioè subnazionali come le città, le organizzazioni private e singoli individui ricchi) prenderanno l’iniziativa di affrontare le sfide globali.
Come si può capire, comunque procedano gli eventi, da qui a tre lustri, il mondo così come lo conosciamo adesso è destinato a metamorfosarsi definitivamente, trasfigurandosi sotto i nostri occhi, scrollandosi di dosso sedimentate e superate convinzioni, in primis occidentali, che hanno forgiato, per oltre cinquant’anni, il way of life di noi tutti.
Con l’entrata della storia delle nazioni e degli stati nell’era multipolare – la quale, certamente, evolverà in una successiva fase policentrica, ancor più estrema e foriera di irreversibili palingenesi degli assetti globali e statali, con rovesciamenti ora impensabili di poteri e alleanze– tutto sembrerà precipitare nel caos e nello scompiglio. E’ una sensazione comprensibile di fronte alla perdita di quei punti di riferimento che, per un’intera epoca, avevano consentito agli attori sociali di muoversi in un ambiente più o meno prevedibile. Ad ogni modo, dobbiamo comprendere che non siamo giunti alla fine del mondo, bensì alla fine di un mondo.
Come si evidenzia nell’esposizione dell’Intelligence National Council, il “momento unipolare” americano è da considerarsi concluso. “La Pax Americana, l’era della supremazia americana nella politica internazionale, che ha avuto inizio nel 1945, è agli sgoccioli”. Tuttavia, il trapasso potrebbe essere molto drammatico, anche più del dovuto, perché gli Usa, che conservano una superiorità militare indiscussa, potrebbero gestire l’inevitabile transizione con poca lungimiranza ed eccessiva agitazione. I classici colpi di coda della bestia ferita che possono fare ancora molto male.
Il declino dell’America, in termini relativi, è inevitabile. Il ruolo che questa avrà nella prossima configurazione mondiale dipenderà dalla sua capacità di ricollocarsi sullo scacchiere planetario, ripensando e ridimensionando obiettivi e rivedendo tutta la linea strategica sinora adottata. Si legge, nel rapporto, che non è ancora facile ipotizzare come gli Stati Uniti decideranno di approcciarsi a questa nuova variante del loro destino, non più così manifesto, e in che misura collaboreranno con partner mondiali meno soggetti alla sua volontà. “Reinventare il sistema internazionale sarà tra le variabili più importanti per il futuro dell’ordine globale…il futuro ruolo [degli Usa] nel sistema internazionale è molto più difficile da progettare: il grado in cui gli Stati Uniti continueranno a dominare il sistema internazionale potrebbe grandemente variare”. Gli Stati Uniti del 2030, molto probabilmente, saranno un mero “primus inter pares” tra le altre grandi potenze, in virtù di quella rendita posizionale costruita dalla sua leadership nel XX secolo e agli inizi del XXI. Rendita che, tuttavia, tenderà ad assottigliarsi col passare del tempo e con l’avvicinarsi del policentrismo. Inoltre, il Global trend 2030, segnala il declino, economico e sociale, dei tradizionali alleati occidentali di Washington, ai quali verrà chiesto un maggiore coinvolgimento sui target considerati di comune interesse o fatti percepire agli stessi come tali.
La proiezione della potenza americana, fino a ieri, era stata amplificata proprio dalle relazioni e dalle alleanze privilegiate in Europa, mai messe in discussione nel contesto della Guerra Fredda e in quello immediatamente successivo. Già agli albori degli anni 2000, divenne però evidente che gli Usa si erano assunti un compito non alla loro portata e, che, pertanto, avrebbero dovuto limitare le loro aspirazioni, smentendo l’eccessiva visionarietà biblica delle narrazioni sul New American Century, con la quale avevano accolto il III millennio.
Nel quindicennio venturo, dunque, il potere diventerà ancora più sfaccettato. La Casa Bianca, potrebbe avere meno amici nel Vecchio Continente (come nel mondo in generale). Alcuni di questi si divincoleranno del tutto da essi per costruirsi una propria sfera egemonica, in coabitazione con potenze emergenti e riemergenti avversarie di Washinton; altri affievoliranno gli antichi legami atlantici, differenziando gli accordi e aprendosi a soluzioni originali (con o senza gli Usa). Qualcun altro, invece, subirà condizionamenti ancora più invasivi. La ritirata americana non sarà perciò totale. Questi individueranno avamposti di controllo e di condizionamento, per continuare ad agire in tali spazi ormai affollati di pretendenti (ciò, ovviamente, il rapporto non lo evidenzia ma lo possiamo inferire). Lo faranno con metodi e strumenti diversi che per alcuni saranno anche più funesti. Tutto lascia presagire che l’Italia sarà tra questi avamposti, privi di autonomia decisionale e di sovranità politica, in balia dei progetti altrui.
Le cose, insomma, cambieranno per chiunque, ma per noi, che ci siamo messi fuori dagli eventi in rapido dispiegamento, rischiano soltanto di precipitare. In mano ad una classe dirigente incapace di cogliere le traiettorie mulltipolaristiche della contemporaneità e inabile a tracciare un percorso alternativo per tutta la nazione nelle circostanze date di acerrima conflittualità geopolitica, ci toccherà, purtroppo, la medesima sorte dei vasi di coccio tra quelli di ferro.