Qualche giorno fa mi è capitato di constatare, per l’ennesima volta, quanta confusione si faccia tra termini differenti ma sovrapponibili, come “giardinaggio”, “botanica”, “arte del giardino”.
Forse qualcuno che mi segue da tempo, dal periodo del mio vecchissimo blog Arboretum oggi “fumato”, ricorderà la breve considerazione che feci a proposito della sostanziale differenza tra giardinaggio e botanica.
Il “giardinaggio” è una pratica che consiste nella cura delle piante e nel fare in modo che esse prosperino nel miglior modo possibile. E’ anche l’operazione che svolgiamo quando ci occupiamo non delle piante come entità singole, ma del nostro giardino come unicum in cui comprendiamo tutto ciò che in esso vi alberga, sia fatto di piante, di roccia, di acqua, di calcestruzzo.
E non c’è alcun merito nel praticare giardinaggio, come mi sembra di orecchiare spesso. Non c’è alcun merito nel praticare il giardinaggio come non c’è alcun merito nel fare acquerelli paesaggistici, recuperate vecchi oggetti col découpage, dipingere sui sassi, o andare in palestra tre volte a settimana. E’ un’attività che ognuno conduce per conto suo e che non può essere imposta -nè a livello pratico nè a livello etico- come “buona” o “positiva” in senso assoluto.
C’è invece merito nel praticare “buon giardinaggio”, il che significa avere autocoscienza di ciò che si compie, sia a livello umano che a livello collettivo, individuale e globale, scientifico, pratico, storico, economico, sociale, culturale. Praticare “buon giardinaggio” a volte può anche voler comportare l’astensione dal giardinaggio.
La “botanica” è invece una disciplina che studia i caratteri tassonomici dei fiori e delle piante, i loro organi riproduttivi, la loro classificazione in famiglie, generi, specie, ecc. E si fa prevalentemente col “culo sulla sedia”. Linneo classificò migliaia di piante col “culo sulla sedia”, facendosi inviare da tutto il mondo esemplari che studiava e schedava. La botanica è una classica disciplina da microscopio, biblioteche, piastre di Petri, polvere e sedia. Molta sedia. Se vi siete immaginati romantiche avventure alla Conte di Bougainville, del tipo raccontato da Andrea Wulf, siete fuori strada, ma di parecchio.
Definire quindi un giardiniere un conoscitore di botanica o un appassionato di botanica, come fin troppo spesso capita, è un errore grossolano nel più felice dei casi, un insulto nel peggiore. Sfido molti ottimi giardinieri a esporre le loro conoscenze botaniche: per lo più saranno informazioni acquisite nel corso del tempo e dell’osservazione delle piante, una sorta di “sesto senso giardinicolo” che fa intuire -anche se di quella pianta non si sa nulla- a che tipo di famiglia appartenga e che tipo di trattamento orticolo gradisca.
La botanica è uno strumento del giardiniere al pari degli attrezzi da giardino: serve per distinguere le piante e riconoscerle, in modo da comprenderne le esigenze colturali. Un giardiniere può avere ottimi risultati conoscendo poche nozioni elementari di botanica, di contro un botanico potrà essere un pessimo giardiniere. In effetti i botanici fanno raramente del giardinaggio, è più facile che si diano alle scommesse sulle corse dei levrieri.
Perciò, ricapitolando, il botanico non sa una beneamatissima di giardinaggio, il giardiniere qualcosina di botanica dovrà pur saperla, ma la botanica non sarà il suo obbiettivo primario: la botanica studia i caratteri morfologici delle piante, non le loro necessità di coltura.
Quando invece tralasciamo, dandolo per scontato, l’elemento di conoscenze botaniche e orticolturali, e parliamo di “giardino“, o di “arte del giardino“, o di “arte di creare un giardino“, il discorso si poggia su un terreno meno saldo e più polimorfico, in quanto non più attinente alle discipline scientifiche, come l’orticoltura (o il giardinaggio come tecnica) e la botanica, ma a discipline filosofiche ed artistiche su cui ancora si dibatte (per fortuna).
Questa forma d’arte che io ho chiamato kepopoiesi, è la proiezione della funzione estetica sul giardino. Ha a che fare quindi con una prospettiva squisitamente artistica del valore “giardino” e non più tecnica, laddove la tecnica di coltura sia comunque data a livelli che possono variare dallo zero assoluto all’eccellenza insuperabile.
Mi auguro che questa specificazione dei termini che più spesso vengono confusi tra loro possa essere proficua. Se devo essere sincera è un po’ triste trovarsi a scrivere queste cose, che dovrebbero essere conosciute e straconosciute da chi pratica il giardinaggio e si definisce giardiniere alla Russel Page. Insomma, a dirla tutta non è il post dei miei sogni questo, ma constatato che fosse necessario e doveroso scriverlo, l’ho scritto.
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