Gluten sensitivity o Wheat intolerance?
Una recente pubblicazione del Prof. Stefano Guandalini M.D. riporta alla ribalta la questione del nome della gluten sensitivity, con il quale designare tutta una serie di sintomi intestinali ed extra-intestinali che si sovrappongono con alcuni sintomi della celiachia e con alcuni dell’allergia al grano (frumento), ma la risultante non è né l’una né l’altra cosa.
Prof. Stefano Guandalini – Gluten Free Travel and LivingMa è giusto chiamarla gluten sensitivity? Quanto importante è dare un nome ad una patologia?
Come si legge nell’articolo di Guandalini, la prima descrizione riguardante la gluten sensitivity non celiaca risale al 1978, da allora l’interesse e quindi la ricerca ha avuto fasi alterne, fino ad un rinnovato interesse negli ultimi dieci anni che ha coinvolto sempre più gruppi di studiosi nel mondo.
Molto c’è ancora da capire e da scoprire riguardo la gluten sensitivity ed i suoi meccanismi, perché la diagnosi è ad oggi una diagnosi di esclusione, ovvero vanno prima escluse in maniera certa sia la celiachia sia l’allergia al grano (frumento) o altre patologie: Attualmente la diagnosi per esclusione per la gluten sensitivity ha finalmente un suo protocollo stilato da esperti e riconosciuto a livello internazionale, i Criteri di Salerno.
Alcuni studi sulla gluten sensitivity hanno evidenziato che le reazioni avverse non dipendano dal glutine – o soltanto da esso -, ma da altri componenti presenti nel grano e in altri cereali (FODMAPs) e anche dagli inibitori dell’Amilasi/Tripsina (ATI), che sono proteine presenti sia nel frumento sia nei cosiddetti grani antichi e che sono causa di infiammazione intestinale.
Un aspetto da considerare è la possibilità che la gluten sensitivity sia il primissimo stadio della celiachia, un momento nel quale la celiachia non può essere diagnosticata dai test anticorpali previsti dal protocollo, perché risultano essere negativi o parzialmente negativi. In pratica, nelle analisi anticorpali c’è un valore che indica che il test è negativo, un range che indica che il test può essere dubbio e un valore al di sopra del quale il test è positivo. Potrebbe accadere che nel primissimo stadio della malattia i valori degli anticorpi osservati possano essere nell’intervallo del dubbio o addirittura diano una risposta negativa. In soldoni, i sintomi ci sono, gli anticorpi ci sono, ma non sono in quantità sufficiente a dare un test positivo. Questa ultima ipotesi è sostenuta dal fatto che i pazienti diagnosticati per la gluten sensitivity possono avere lesioni di grado Marsh 1 dei villi, secondo il criterio Roma III – i pazienti diagnosticati celiaci con appiattimento dei villi hanno lesioni di grado Marsh 3-, e inoltre manifestano reazioni avverse alla gliadina .
Nell’articolo di Guandalini si legge anche che alcuni pazienti affetti da gluten sensitivity presentano entrambi o uno dei due alleli HDLA DQ2 e HDLA DQ8 (circa il 40% dei pazienti gluten sensitive, la presenza nei pazienti celiaci è il 100%).
Altro aspetto da considerare è l’eventualità che alcuni pazienti gluten sensitive siano affetti da una allergia alimentare non mediata dalle IgE (Immunoglobuline E). Tutto questo complica il puzzle della gluten sensitivity, ovviamente, e amplia certamente le direzioni della ricerca medico – diagnostica e dell’industria alimentare.
Come sottolinea l’articolo di Guandalini, è quindi importante sia avere un protocollo diagnostico riconosciuto e validato, ma è anche necessario che siano effettuati test in doppio cieco con controllo placebo e che sia effettuato il gluten challenge standardizzando la quantità di glutine del test, che va sempre eseguito sotto stretto controllo medico.
Studi in doppio cieco con controllo placebo e anche gluten free challenge sono già stati effettuati, ma visto il complesso quadro della gluten sensitivity sono necessari studi ulteriori.
Ma è giusto chiamarla gluten sensitivity? Quanto importante è dare un nome ad una patologia?
Secondo Guandalini, proprio in virtù del complesso quadro della gluten sensitivity, sarebbe bene che il nome venisse cambiato in sindrome da intolleranza al frumento (wheat intolerance syndrome); il cambiamento di nome è utile per sottolineare che non è solo il glutine ad essere coinvolto, ma anche altri composti presenti nel frumento, e per evidenziare che può essere presente una componente allergica. La presenza della componente allergica o dell’ipersensibilità verso altre proteine del frumento, diverse dal glutine, può ricordare il quadro dell’allergia e della sensibilità alle proteine del latte. E’ bene ricordare come molti pazienti affetti da gluten sensitivity siano anche sensibili alle proteine del latte.
Inoltre, va sottolineato che quando si parla di allergie, il discorso sulla contaminazione cambia in maniera importante. Nella celiachia, come ricordato nel precedente articolo sulla quantità di glutine in una briciola di pane, un alimento è considerato “senza glutine” quando il limite di glutine è ≤ 20 ppm (20 mg di glutine/1 kg di alimento) e un celiaco, per avere effetti negativi sui propri villi intestinali, deve assumere ogni giorno, per 90 giorni consecutivi, una quantità di glutine pari a 50 mg (50 mg/die per 90 giorni consecutivi); nel caso dell’allergia al frumento, come per tutte le allergie alimentari e non, non si parla più di limiti, ma di presenza o di assenza dell’allergene che innesca la reazione degli anticorpi. Si passa da un semplice puzzle ad uno più complicato, con più pezzi da assemblare da parte degli studiosi, ma anche da parte dei pazienti.
Sindrome da intolleranza al frumento è sempre un termine ombrello sotto il quale si riuniscono diverse sintomatologie. Attualmente la gluten sensitivity è nella stessa situazione in cui era negli anni ’70 la diarrea infantile intrattabile, termine che è stato poi abbandonato quando sono stati identificati i vari componenti sotto l’ombrello.
Le conclusioni cui arriva Guandalini sono che cambiare la terminologia è anche cambiare la prospettiva di ricerca, considerando non la singola entità, ma la molteplicità dei fattori e disegnando una procedura sperimentale in grado di rispondere validamente alle diverse domande del puzzle.
Cambiare nome aiuterebbe i pazienti gluten sensitive?
Dare un nome alla patologia che si soffre è l’inizio per cominciare a guarire.
Gluten sensitivity è un nome nato quasi trent’anni fa, che non soddisfa moltissimi studiosi. Adesso, si comincia a comprendere sempre di più che la gluten sensitivity non è solo uno, ma potrebbe essere centomila.
Mentre la ricerca progredisce, qual è la cura attuale dei pazienti gluten sensitive?
La cura efficace è la dieta, che sia senza glutine, senza frumento, considerata la possibilità della componente allergica, e magari anche a basso contenuto di FODMAPs, ma tutto questo va valutato attentamente, caso per caso, dallo specialista in relazione alla remissione o alla ricomparsa dei sintomi.
Dalla no man’s land siamo passati ad un affresco composito, del quale però non distinguiamo ancora bene le forme. Intanto il dibattito e la ricerca vanno avanti.
Da Guandalini, 2015 Impact, The University of Chicago Medicine, Celiac Disease Center.