Quando ho in mente Göbekli Tepe non posso non sorridere pensando: “Qui, nella pianura mesopotamica, l’umanità deve invertire la rotta. Dove deve ripensare a sé stessa”.
Universalmente lo si fa risalire a 10000 anni fa ma è documentato che queste vestigia risalgono a 12000 anni fa. 2000 anni prima, quando gli storici ci raccontano di un’umanità fatta di caccia e raccolto spontaneo, impegnata a ricavarsi il cibo dalle prede nella foresta, a coprirsi e a costruire rifugi mobili con le pelli degli stessi e a procreare.
Si tratta del più antico sito di culto dissotterrato e ancora non completamente datato al mondo. Il primo sopravvissuto alla sua forma originaria.
Innegabile il desiderio di porre l’attenzione su un dettaglio rilevante ai fini dell’ipotesi della premessa: si tratta di un sito di culto costruito in un’era in cui sia agricoltura che sedentarietà erano modelli sconosciuti. Questa civiltà manifesta il bisogno di elevare un tempio ancor prima di costruire una città.
Dalle analisi e dalle ricerche (tuttora in corso, condotte dallo scopritore Schmidt che ogni anno a settembre viene con il suo team a condurre scavi e ricerche di un mese), risulta che dopo qualche millennio dalla sua costruzione, l’aerchitettura sia stata interamente bruciata. Consta di 20 strutture a pianta circolare con elementi in comune: 2 obelischi a forma di “T” giacciono speculari al centro di ogni tempio, circondati a loro volta da altri obelischi. Quelli a “T” ipotizza Schmidt, possono essere stilizzazioni di figure umane.
Le immagini di animali e altri elementi scolpite a rilievi tridimensionali sono rivelatrici di un sistema di credenze intorno alle quali si sviluppava quella arcaica società.
Il modo in cui vengono concepite queste strutture, avulse dal contesto di uomini della foresta di cui abbiamo accennato sopra hanno indotto gli studiosi a formulare 2 ipotesi: la prima ipotizza una comunità di cacciatori riunita intorno alla figura carismatica di uno sciamano che ne è alla guida e che ne influenza le azioni; la seconda ipotizza una preesistente comunità di sciamani già evoluta in una classe religiosa speciale dominante (come era successo pure nell’ Egitto Faronico).
Seguendo questa seconda ipotesi si conclue quindi che:
- la socializzazione è avvenuta prima di quanto finora sia stato riconosciuto dala storia e dalla comunità scientifica (ed ecco perché ripensare il passato) e che quindi l’umanità a quell’epoca era già organizzata secondo classi specifiche inserite in un preciso ordine gerarchico (e da qui riconsiderare il modello del nomadismo non come condizione necessaria a sopravvivere in una natura arcigna bensì come scelta spinta da motivazioni pure sociali, intellettuali ed economiche);
- l’umanità a quel livello di coscienza è ancora un tutt’uno con la natura. Espressamente costruisce un tempio di culto, laddove il culto rappresenta uno stato assolutamente emozionale dell’essere. Al contrario dell’uomo moderno, che rifuge sempre più dalla scala emozionale in nome del progresso e del benessere globale, l’uomo arcaico è in grado di esprimere spontnemente sentimenti e segni emozionali assegnandogli pure un valore importante sul piano sociale.
Il salto verso le riflessioni di grandi pensatori europei a cavallo tra il XIX e il XX secolo è inevitabile.
Giacomo Leopardi sosteneva nelle mille geniali intuizioni del suo pensiero che trasformava in squisiti versi che la differenza tra l’uomo moderno e l’uomo antico era proprio questa: l’uomo moderno ha preso il distacco dalla natura, la guarda da lontano e la studia e la giudica, avendo dimenticato che egli stesso ne fa parte. L’uomo antico invece che viveva in connubio con la natura era più felice, mostrando tratti comuni alle attitudini ed all’approccio “fanciullesco “.
Non posso che non concordare con un mio carissimo amico quando dice che, se pensiamo ai popoli del mondo e alla loro geografia come se stessimo pensando alle età dell’uomo, il quadro che ne deriva è questo:
L’africa è l’Infanzia dell’Uomo.
L’asia ne è la fanciullezza.
L’europa la maturità.
L’america del nord la vecchiaia.
Che corrsidpondono con il pensiero filosofico leopardiano in merito alla:
età primitiva, quando gli uomini vivevano in uno stato di perfezione e di innocenza anteriore alla civiltà;
antichità classica, civiltà che L. ammira come sintesi equilibrata di natura e ragione;
il medioevo, nel giudicare il quale L. incorre nei tipici luoghi comuni dell’illuminismo (secoli bui, epoca negativa, trionfo della barbarie);
l’età moderna, con il predominio assoluto della ragione, la freddezza, il convenzionalismo, il calcolo, la funzionalità, in una parola la vita inautentica.
“I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto|” (Giacomo Leopardi. 527, 19 gennaio 1821)
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