Da uno studio approfondito fatto da me medesima su wikipedia, ho scoperto che il nostro corpo è per il 65% acqua. Cioé siamo praticamente delle gocce con degli organi interni e venti unghie. Essendo fatti d’acqua, quindi, dovremmo almeno in parte godere della purezza e trasparenza che la distingue. Eppure.Eppure quanto lavoro a essere gocce. Quanto stordimento nella vita di ognuno, quanti sforzi per raggiungere qualcosa, qualcuno. Quanti tentativi, quanto agitare le braccia nel buio, senza poter vedere cosa c’è davanti.Quanta energia sprecata a cercare di essere brillanti, alternativi, per farsi notare, o per trovare soltanto un equilibrio che duri il più possibile. Quanta tenacia nel tenere stretto a noi quello che sembra più importante: un figlio, un libro, un ricordo, una canzone.Quanta siccità di solitudini e sete d’amore. Quanto sgomento quando evaporano via delle certezze, quando ci si accorge di essere a secco. Quanta fatica per cercare un amore anche provinciale. Quante voglie mai placate.Provo una tenerezza infinita per tutti noi quando penso che malgrado lo sforzo sovrumano che facciamo per mantenere questo sessantacinque percento bagnato, comunque non molliamo. Perché saremo anche solo delle gocce, ma questa è la nostra unica possibilità di trovare il nostro posto giusto nel mare.Che poi sessantacinque, a pensarci bene, è anche un numero che dovrebbe richiamare un certo ottimismo, perché è indice matematico e indiscutibile che il nostro bicchiere è ben più che mezzo pieno. E poi chissà, magari alcuni giorni, o alcuni periodi, il livello si alza e si è più felici, si sta meglio. Pensavo a questo e ad altro stamattina quando in macchina tornavo da fare la spesa e a un semaforo rosso osservavo una signora sulla cinquantina con delle tette grandi ma non troppo che camminava per una strada malridotta di Cambridge. Aveva un vestito attillato a righe bianche e rosse, la coda di cavallo bassa, le scarpe rosse anche quelle. Camminava con passo lento eppure deciso.La guardavo e ho pensato che forse stava cercando di dirci qualcosa, a noi in fila inmacchina. Ci stava dicendo: guardatemi, che non lo sapevate tre secondi fa, ma esisto, e vi voglio far vedere questo vestito che fascia questo mio corpo che una volta era stato ancora più bello. E anche lei mi ha fatto una grande tenerezza, e mi è venuta una voglia sfrenata di mollare lì la macchina e correre ad abbracciarla.Poi però è scattato il verde.
Magazine Diario personale
Da uno studio approfondito fatto da me medesima su wikipedia, ho scoperto che il nostro corpo è per il 65% acqua. Cioé siamo praticamente delle gocce con degli organi interni e venti unghie. Essendo fatti d’acqua, quindi, dovremmo almeno in parte godere della purezza e trasparenza che la distingue. Eppure.Eppure quanto lavoro a essere gocce. Quanto stordimento nella vita di ognuno, quanti sforzi per raggiungere qualcosa, qualcuno. Quanti tentativi, quanto agitare le braccia nel buio, senza poter vedere cosa c’è davanti.Quanta energia sprecata a cercare di essere brillanti, alternativi, per farsi notare, o per trovare soltanto un equilibrio che duri il più possibile. Quanta tenacia nel tenere stretto a noi quello che sembra più importante: un figlio, un libro, un ricordo, una canzone.Quanta siccità di solitudini e sete d’amore. Quanto sgomento quando evaporano via delle certezze, quando ci si accorge di essere a secco. Quanta fatica per cercare un amore anche provinciale. Quante voglie mai placate.Provo una tenerezza infinita per tutti noi quando penso che malgrado lo sforzo sovrumano che facciamo per mantenere questo sessantacinque percento bagnato, comunque non molliamo. Perché saremo anche solo delle gocce, ma questa è la nostra unica possibilità di trovare il nostro posto giusto nel mare.Che poi sessantacinque, a pensarci bene, è anche un numero che dovrebbe richiamare un certo ottimismo, perché è indice matematico e indiscutibile che il nostro bicchiere è ben più che mezzo pieno. E poi chissà, magari alcuni giorni, o alcuni periodi, il livello si alza e si è più felici, si sta meglio. Pensavo a questo e ad altro stamattina quando in macchina tornavo da fare la spesa e a un semaforo rosso osservavo una signora sulla cinquantina con delle tette grandi ma non troppo che camminava per una strada malridotta di Cambridge. Aveva un vestito attillato a righe bianche e rosse, la coda di cavallo bassa, le scarpe rosse anche quelle. Camminava con passo lento eppure deciso.La guardavo e ho pensato che forse stava cercando di dirci qualcosa, a noi in fila inmacchina. Ci stava dicendo: guardatemi, che non lo sapevate tre secondi fa, ma esisto, e vi voglio far vedere questo vestito che fascia questo mio corpo che una volta era stato ancora più bello. E anche lei mi ha fatto una grande tenerezza, e mi è venuta una voglia sfrenata di mollare lì la macchina e correre ad abbracciarla.Poi però è scattato il verde.
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