una volta erano i veri vincenti. quelli che dove passavano riscuotevano sguardi di paura mista a rispetto e, alle volte (tante volte), di ammirazione. ammirazione per quell’ideologia democratica che sostenevano ed esportavano- dimentichi dell’apartheid interno vigente e in salute fino agli anni sessanta; per quel super-capitalismo dall’impronta disneyanamente bonaria grazie al quale i soldi nascevano a grappoli- lasciando perdere lo stuolo di paesi del terzo mondo ridotti alla fame a tal fine; ma, soprattutto, per quell’inarrestabile e immarcescibile mito dell’american dream che ha spronato milioni di europei, asiatici, africani e quant’altro a imbarcarsi per un continente dai contorni metafisici, culla della speranza e di un fantomatico destino luminoso.
ora, però, sono con le proverbiali brache calate. le due compagini zoomorfe (i Dem e i Rep) dell’agone politico hanno battibeccato fino a cinque minuti fa per decidere se alzare o meno il tetto del debito pubblico (che è stabilito dalla Costituzione), onde evitare il coma irreversibile del paese e dei vari apparati che lo compongono, oltre che di qualsiasi economia del globo. inoltre il deficit di cui sopra è saldamente in mano ad investitori stranieri, dove per stranieri s’intende cinesi- che sono sulla buona strada per dare una connotazione orientale al capitalismo del nuovo millennio; la disoccupazione tocca all’incirca 30 milioni di cittadini americani; senza parlare dell’utopistica riforma sanitaria bloccata nelle sabbie mobili e con la data di scadenza.
da menzionare- poi- le ferite ancora da cicatrizzarsi dell’Afganistan e dell’Iraq. Obama vuole tagliare la corda al più presto, ma non vuole farlo frettolosamente, cioé rischiando di far implodere le tensioni etniche e politiche di entrambe le regioni; e non vuole farlo nemmeno lasciando il via libera diretto agli sciacalli delle risorse naturali che, peraltro, hanno già messo ben più di una mano sui luoghi ‘sacri’.
cosa resta da fare, all’uomo della Provvidenza (sempre Obama, ndr)? un uomo che ha attirato su di sé tante, troppe, aspettative: l’americano del futuro che non deve più fare i conti con il passato vergognoso ma che prospetta per sé e per i suoi fratelli un futuro roseo. un american dream troppo ardito. a oggi, il presidente ha da fare con la più grossa crisi della storia dell’economia, aggravata e sostenuta ancor di più dalla globalizzazione e dalle continue bolle speculative che stanno definitivamente mandando a ramengo le istituzioni finanziarie (o, almeno, la loro reputazione). cosa fare, se non voltare pagine e cedere lo scettro astratto dell’Impero al nuovo capitalismo (fieramente stalinista) alla cantonese, forse uno dei modelli economico-sociali peggiori tra i tanti poco meritevoli che il ventesimo e il ventunesimo secolo hanno e stanno testimoniando.ad Obama non resta che scaldare i motori del suo super-camper stile Hollywood che sarà campo-base itinerante della sua campagna, preparare bei discorsi tutti ugualmente inutili e incrociare le dita per una rielezione molto difficile.
di seguito, un paio di link che meritano:
il declinol'illusione