Roma, Init.
Tornare a vedere i Godflesh a tre anni di distanza dal meraviglioso concerto di Palestrina è una grande emozione. Quella volta Justin Broadrick e Ben Green furono a dir poco superlativi: scaletta perfetta, sound impeccabile e location entusiasmante. Riusciranno i nostri eroi a raggiungere un’altra volta una tale grandezza?
I primi a salire sul palco dell’Init sono i Disumana Res, gruppo con membri sia romani, sia bolognesi. Al trio è concesso molto poco tempo e la sua performance non va oltre i venti minuti, il che non è proprio il massimo per formarsi un giudizio vero e proprio. Sono un progetto molto interessante, anche se in questa sede la loro somiglianza con gli headliner si fa sentire, e parecchio. Speriamo di poterli vedere in altre occasioni. Dopo di loro arrivano i Deflore, duo locale in giro da ormai dieci anni. La musica dei Deflore è un mix di industrial, elettronica e psichedelia, con brani quasi interamente strumentali, con diversi campionamenti al loro interno. Un loro concerto è sempre qualcosa di particolare, di unico: riescono a creare un’atmosfera che difficilmente si trova sui palchi romani. È la terza volta che li vedo (la seconda sul palco dell’Init, la prima fu quando aprirono per gli Unsane). Promossi a pieni voti.
Seguono i Syk, l’unica band nella serata a suonare con una batteria vera e propria, con due rullanti (il che fa un po’ impressione, essendo ormai tutti entrati nel mood della drum machine). Propongono un misto tra i Meshuggah e diverse cose tra il metal moderno e il postcore, con dei suoni di chitarra molto opachi. La loro resa live non è male, sono molto precisi e quadrati, anche i suoni stasera non sono dalla loro parte, il che ingarbuglia un po’ l’insieme.
Cresce l’attesa per i Godflesh, che attaccano con “New Dark Ages”. Questa volta, al posto della sette corde della Schecter e della Stratocaster color panna, Broadrick imbraccia una otto corde, che userà per tutto il live. La prima parte del concerto include solo pezzi nuovi, durante i quali, anche a causa dei pessimi suoni, la situazione non è delle migliori. Nonostante il gruppo rimanga una macchina da guerra, il materiale da poco pubblicato non è un granché, per di più la scelta di servirsi di uno strumento così particolare aumenta la confusione nel sound. Il pubblico però è incredibilmente coinvolto e sono in molti quelli a fare headbanging, seguendo l’andamento marziale della drum machine. Le emozioni vere arrivano con “Christbait Rising”, che tira giù tutto l’Init, mentre dietro la band viene proiettata la copertina di Streetcleaner (dal quale eseguiranno anche la title-track). I Godflesh continuano distruggendo tutto con “Spite” e “Crush My Soul”, al termine della quale escono di scena, per chiudere davvero con una devastante “Like Rats”, con tanto di finale harsh noise col solo Broadrick sul palco a orchestrare un muro di feedback e distorsioni.
È difficile prendere una posizione sul concerto di stasera. I suoni erano discutibili e la otto corde è uno strumento che non fa per i Godflesh (anche se il loro nuovo ep non è affatto male), troppo confusa e troppo ribassata. Però la classe c’è, l’alienazione regna ancora sovrana ed è impossibile non uscire dall’Init molto soddisfatti. Probabilmente – per una band del genere – il palco grande, con un muro sia di proiezioni che di suoni, è quello che ci vuole per rendere al meglio.