Irene è lieta di avere un ospite nel suo piccolo blog, un buon appassionato di film d’uso e consumo, dai supereroi ai mostri: questa è la controrecensione di Godzilla di Rafael Cejas. La mia la potete rileggere qui se volete.
Assistiamo da alcuni anni alla rinascita del cosiddetto kaiju cinema, una categoria specifica di film nei quali le storie vedono sempre protagonisti immensi mostri, che minacciano il destino dell’umanità. Oltre allo stesso Godzilla -precursore del genere- abbiamo potuto vedere The Host (Joon-ho Bong, 2006), Cloverfield (J.J. Abrams, 2008), il remake di King Kong (Peter Jackson, 2005), Super 8 (ancora una volta J.J. Abrams, 2011) o Pacific Rim (Guillermo del Toro, 2013), tra tante altre.
Come si spiega il nostro amore per i mostri? I kaiju sono catastrofi naturali, normalmente una rivincita della natura contro l’ambizione dell’uomo. Tranne alcuni esempi, come l’invasione aliena di Pacific Rim, gli attacchi dei kaiju sono normalmente provocati dagli stessi umani: la distruzione del loro habitat, esperimenti chimici o genetici o prove nucleari. Dobbiamo subire la loro forza come una punizione divina. Come facciamo a odiarli, quando sono soltanto delle vittime?
Anzi, senza rendercene conto, finiamo per sentire simpatia per i mostri. Nel loro mistero troviamo un senso di brutale bellezza.
Non c’è bisogno di presentare Godzilla. Nato originalmente come una rappresentazione dei pericoli delle armi nucleari, in un Giappone ancora traumatizzato dagli avvenimenti di Hiroshima e Nagasaki; è diventato un’autentica figura pop e uno dei personaggi più apprezzati dai fans della fantascienza o del cinema in generale. L’anteriore versione di Godzilla fatta negli USA (Roland Emmerich, 1998) fu un’opera odiata in maniera unanime per il suo tradimento nei confronti delle caratteristiche del personaggio.
Per questa ragione, c’erano motivi di preoccupazione con il reboot della saga. Ma i fan possiamo rimanere tranquilli. Godzilla trionfa laddove Cloverfield (J.J. Abrams, 2008) aveva fallito previamente: i personaggi umani sono, magari consapevolmente, completamente vuoti e tradizionali. Nessuno si preoccupa per il loro destino, tutti aspettano l’apparizione dal nostro carismatico lucertolone. Il regista, saggiamente, ci proporziona la sua presenza in piccole dosi, in attesa dal climax finale.
Tutti gli intenti dell’umanità, rappresentati dall’epitome della potenza e l’arroganza, l’esercito degli Stati Uniti, falliscono uno dopo l’altro. Non si può lottare contro i MUTO (acronimo di Massive Unidentified Terrestrial Organism), un paio di insetti giganti avidi d’energia nucleare e che riescono, attraverso scariche elettro-magnetiche, ad inutilizzare tutta la tecnologia intorno a loro. Sono i MUTO i simboli della stessa umanità, dell’industrializzazione, del complesso industriale-militare? E Godzilla in questo caso, sarebbe l’immagine della natura, della terra o del proprio Dio?
La scena finale non delude, e ci proporziona ciò che si era andato a vedere. I personaggi umani passano in secondo piano, lasciando il palcoscenico ai veri protagonisti, i mostri. Ciò che ci lascia più dubbi è sicuramente il piano finale, un piccolo gioiello trash: Godzilla si rialza dopo la durissima battaglia, tra gli sguardi di sorpresa, gioia e ringraziamento dei cittadini di San Francisco. Addirittura, nel telegiornale si scrive “Godzilla, savior of our city”. L’amore per i kaiju non conosce frontiere.
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