Magazine Cinema
Gokudō meshi (極道めし, Sukiyaki). Regia: Maeda Tetsu. Soggetto: dal manga di Tsukiyama Shigeru. Sceneggiatura: Habara Daisuke, Maeda Tetsu. Fotografia: Tanigawa Sohei. Montaggio: Takahashi Koichi. Scenografia: Tsuyuki Emiko. Cast: Nagaoka Yu (Kenta), Maro Akaji (Hachi-san), Ochiai Motoki (Aida), Katsumura Masanobu (Minami), Denden (Gosho Gawara), Gitaro (Chanko), Kimura Fumino (Shiori). Produttori: Haruna Kei, Ogawara Osamu, Ikeda Shinichi. Produzione: Deep Side, King Record Co. Durata: 108'. Uscita nelle sale giapponesi: 23 settembre 2011.Link: Mark Schilling (Udine Far East Film Festival) - Nicholas Vroman (a page of madness)
Tratto da un fumetto di Tsuchiyama Shigeru, Sukiyaki è una commedia venata di malinconia. La vicenda è ambientata nella cella di una prigione giapponese, dove viene rinchiuso un giovane yakuza condannato per aggressione e percosse. I suoi compagni di cella sono un ex lottatore di sumo passato al wrestling, un anziano ladro professionista, un gigolo da nightclub e un altro delinquente. Come il nuovo arrivato avrà modo di verificare, i quattro si intrattengono con una sorta di gioco/rituale: si raccontano a turno storie sul pasto più appagante della loro vita, chi riesce a prodursi nella descrizione del cibo più stimolante, potrà scegliere qualcosa dal piatto dei compagni a Capodanno, giorno durante il quale viene servito l’unico pasto decente dell’anno.Kenta, il giovane yakuza, all’inizio è scontroso e poco disponibile a farsi coinvolgere, ma finirà anche lui per gareggiare con gli altri nei racconti, e svelare un po’ dei suoi ricordi e delle sue angosce.Sukiyaki è un’opera tutta incentrata sull’evocazione del ricordo tramite il cibo. La visualizzazione dei piatti - semplici per lo più, familiari - fa sì che si dischiudano le porte della memoria, e si rivelino gli affetti che contano, l’amore per le madri, le fidanzate, i figli. Gli uomini descrivono i sapori, i profumi e allo stesso tempo rivivono momenti fondamentali della loro esistenza fuori dal carcere, legati in particolar modo alla famiglia: la madre che cucina al figlio l’ultimo pancake prima di abbandonarlo, una grigliata in riva al mare, la fidanzata che si impegna nella preparazione di creativi e amorevoli ramen. Con uno stile volutamente teatrale nel momento dei flashback gastronomici ed anche con alcuni intermezzi in animazione, l’opera si dipana sul filo dell’equilibrio tra risata e tristezza, lasciando che siano i ricordi ad “aprire” metaforicamente le porte della prigione: tutta la vicenda ha luogo infatti tra le mura di una cella, ma tramite i flashback il mondo esterno irrompe nella storia. La morale sta, per i poveri reclusi, nel non aver compreso e risolto i legami delle proprie vite, quando ne avrebbero avuto l’occasione: all’interno delle mura di una prigione, anche i sapori si fanno più intensi grazie alla forza della mente, i ricordi più vividi, certe situazioni più chiare. Il regista indugia anche in alcune sequenze oniriche, come quando Keita, al lavoro nella segheria del carcere e frastornato per la fame, immagina che i trucioli di legno, che iniziano a volteggiare al ralenti attorno a lui, siano un gustoso piatto di pasta (una curiosità: in questa sequenza e in poche altre appare, come compagno di lavoro allo stesso banco del giovane, il celebre attore Denden). Certo, non mancano riferimenti scatologici venati di una volgarità un po’ popolare, così come sono quasi una sorta di “colonna sonora” del film i rumori fisici legati al cibo, e non solo: i cinque protagonisti deglutiscono sonoramente, tossiscono, russano, mugugnano, hanno intestini che rumoreggiano. Tra le numerose gag del film, alcune hanno come protagonista il corpulento ex lottatore di sumo. I ricordi del ragazzo si concentrano sulla figura di una donna, che lavora in un bar. Lei sembra avere della simpatia per il giovane e così una sera gli prepara un soufflè che ha la forma di due grossi seni, nei quali il ragazzo, inutile dirlo, affonda, in preda al delirio gastronomico-sessuale, il suo simpatico faccione. [Claudia Bertolè]
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