Ho cercato di forzare le volontà di Eupalla e ci sono quasi riuscito. Ma ella, «divinità benevola che assiste pazientemente alle goffe scarponerie dei bipedi», alla fine non ce l’ha fatta. Visti Higuaín, Messi e Palacio dirottare fuori porta i palloni del trionfo, ha ispirato i crukki, proprio loro, per una giocata meravigliosa, non un cross di Breitner e una mezza rovesciata di Rummenigge, ma una magata di Schürrle per il fioretto di Götze. Più umlaut che secondi per definire la stoccata.
Rizzoli, nessuna sorpresa, ci ha messo del suo. Un fallo sul Pipita travolto da Neuer trasformato in sfondamento, proprio come una maglia tirata a Müller, una serie di mancati gialli nel supplementare. Arbitro mediocre, si sa. Ma alla fine vince chi merita, non più di tanto ieri, ma dall’invasione del Portogallo in poi quasi sempre.
Come ogni quattro-anni-quattro il mondiale ha scandito le nostre vite (cit.) e non c’è stato, nel mentre, nulla di più divertente, coinvolgente, interessante. Le bestie hanno continuato a farsi guerra in mezzo alla terra, gli uomini hanno avuto un unico obiettivo: osservare il contenuto del rettangolo. Quelli più alti hanno anche cercato di capirne la metafora.
E’ stato un mese pieno di tutto, più del previsto, più del dovuto. Morsi e cadute, tuffi e carambole, pali, traverse, parate, tante parate. Pinilla, Dzemaili e Krul sono stati grattaevinci senza tasse da pagare allo Stato. La giocata più gigante è la scivolata di Mascherano che tramuta in cenere il biglietto della finale di Robben. Il teatro lo ha regalato il Brasile negli ultimi, eterni, 180’ di joga bonito: loro ripartono, adesso, che sono forse il Talmassons. La revolución l’hanno fatta Cile, Messico e Colombia, finché hanno potuto, finché Eupalla, sempre lei.
Noi abbiamo fatto schifo. Non solo per Balotelli, un bel po’ per colpa di Prandelli, inutile jefe di una spedizione di medi (dell’asilo). Non abbiamo un solo giocatore nella formazione ideale (anche perché, quando i mondiali sono iniziati, eravamo già fuori), quella che disegnano i bambini mettendo in fila i loro sogni. I migliori tre: Rodríguez, Müller, Robben. Un posto a parte per Neuer: miglior portiere, miglior libero. Le tre squadre più belle: Olanda, Germania, Cile. I tre gol indimenticabili: il tuffo-testa di Van Persie, lo stop-tiro all’incrocio di Rodríguez, il golden di Götze. Le tre pippate extra-campo: l’orrendo servizio della Rai, la versione pip (nemmeno più pop) di Caressa, i giornalisti di politica che nulla sanno di calcio e della sua anima e digitano sulla tastiera immonde vaccate.
Un mondiale, peraltro, di cose da scrivere. Perché dura un mese, ma vive quattro anni. Quante cose si diranno ancora della Russia e poi del Qatar e più avanti di nonsodove. In attesa, 2030, del Centenario.
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