La storia dell’Omsa-Golden Lady continua e si arricchisce di un nuovo capitolo (purtroppo) di cassa integrazione. Il 25 novembre scorso infatti ha chiuso i battenti la fabbrica Golden Lady di Gissi in Abruzzo. Qui si producevano il gambaletto e i collant classici, qui erano impiegati 380 dipendenti. Vi lasciamo alla seconda intervista (leggi la prima) realizzata da Francesco Farinelli a una delle cassintegrate Golden Lady: Graziella Marino.
Graziella Marino - Golden Lady
È sempre strano, o quantomeno limitante, sciorinare freddi numeri per parlare di storie e di vite che appartengono a persone reali, ma talvolta basta guardare queste differenze, le semplici differenze numeriche per capire che il dramma che vivono molti lavoratori è un dramma della nostra intera società.
Graziella Marino ci parla della sua storia prima di tutto attraverso i numeri, i suoi numeri, i suoi anni e i suoi anni lavorativi in particolare e quelli della sua oramai ex-azienda, la Golden Lady, sempre più incentrata sul lato ‘golden’ e sempre meno su quello delle donne, delle lavoratrici che hanno contribuito a costruirla con il loro lavoro.
Graziella ha 35 anni, dal 1999 lavora allo stabilimento di Gissi, in Abruzzo, mamma di 2 bimbi piccoli da due anni in cassa integrazione, in uno stabilimento che ha chiuso definitivamente i battenti da novembre. Graziella si occupava del controllo qualità arrivando a malapena a percepire 1.000 euro mensili e lavorava in uno stabilimento che nel ’99 contava 720 dipendenti, oggi, alla chiusura erano 382 (di cui 250 donne), in una categoria che non ha avuto un aggiornamento del contratto integrativo dal 1997, con uno stipendio medio netto di 1.000 euro al mese, ed ora che è in cassa integrazione in deroga dal marzo scorso, ridotto al 70%. La differenza salta all’occhio subito quando invece si vanno a scorrere i numeri Golden Lady, un’azienda dal fatturato in crescita di 360.000.000 di euro (dato 2004) multinazionale, che arrivò a Gissi nel 1988 insediandosi grazie ai fondi della Cassa del Mezzogiorno e Fondi Regionali; un’azienda che conta 3.500 dipendenti, che realizza 300.000.000 di paia di calze all’anno, 11 stabilimenti produttivi in Europa e che controlla 8 marchi, fra cui Omsa (ndr).
“La nostra situazione è incredibile, l’azienda e i sindacati stessi è come se abbianno attuato una strategia per distrarre e temporeggiare su tuta la vicenda, noi ci siamo sentiti usati e la prima reazione che abbiamo avuto è stata quella del 17 dicembre, dove abbiamo organizzato, grazie alla volontà di un centinaio di dipendenti coraggiosi, un presidio di fronte all’azienda, ma moralmente siamo a terra; si è lavorato per metterci l’uno contro l’altro, ci è stato detto di aspettare, e ora siamo di fronte alla chiusura definitiva e senza alternative dell’azienda”.
Di fronte a questi numeri cosa sono quelli di Graziella, o quelli di Gissi o quelli di Faenza per esempio? Devono essersi domandati quelli della Golden Lady qualche anno fa, quando è iniziato il processo di delocalizzazione. Ma è proprio dietro queste fredde cifre, queste scelte a tavolino, fatte studiando i numeri, che si nascondono le vite e i drammi di tutte le persone che quei numeri hanno contribuito a scrivere e costruire. Dietro ai numeri ci sono le vite.
di Francesco Farinelli
(27 dicembre 2011)
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