Napolitano in una lettera ai presidenti di Camera e Senato: basta emendamenti che introducano disposizioni non ricollegabili alle proroghe specifiche del decreto. Nel valutare l’ammissibilità di modifiche attenersi a criteri di stretta attinenza. Draghi: cruciale riformare il lavoro. Fornero e Monti: sulla riforma del lavoro si va avanti senza parti sociali. Fornero: sull’articolo 18 si va avanti anche senza il PD. Guardasigilli: Nulla impone o suggerisce a un ministro di spogliarsi della comproprietà di una casa. Il catalogo del golpe sobrio è vario. Passa dall’annichilimento dei processi decisionali, attraverso l’indebolimento del Parlamento, l’annullamento dell’istituto del voto, lo svuotamento dell’autorità delle istituzioni rappresentative. E mettiamoci anche lo schiaffo alla volontà popolare espressa coi referendum, la consegna alla troika europea che annienta ogni residuo di sovranità. Non vorrei dimenticare il presidente della Bce, implacabile rigorista coi diritti dei popoli ma riluttante esecutore dei suoi obblighi. Ministri che ritengono il conflitto d’interesse una fastidiosa e sterile istanza dei rompiscatole che non vogliono arrendersi alla loro superiorità di plutocrati intoccabili. E partiti che vagano come ubriachi in disaccordo anche sul vino cattivo che gli tocca bere. E per di più media a una parte di opinione pubblica, ammesso che esista, appiattiti in un consenso estatico o neghittosamente arreso, che poi il risultato è lo stesso. Concordi che chi critica sia un pericoloso disfattista che rema contro la salvezza. Guardare la contingenza politica, cercare di capire senza il velo fideistico della delega in bianco, rappresenta un atto di resistenza democratica, contro scelte imposte da un governo autoritario, che si accredita con una superiore competenza, per confermare la sua estraneità alle regole e alle procedure non della politica, ma del sistema democratico. Un governo autoreferenziale che della sua specificità “tecnica”, della sua specializzazione fa il grimaldello per spalancare le porte a un decisionismo dispotico e per legittimare la lesione di diritti e l’obbligatorietà della rinuncia a conquiste civili e garanzie. Sarebbe consigliabile non affidarsi mai a chi si propone grazie a una competenza, ma in realtà ubbidisce ciecamente a una ideologia, che sta intridendo tutta la società attraverso principi e pratiche che rendono più profonde le disuguaglianze, inattaccabili i privilegi, discrezionali i diritti, augurabili i sacrifici e tollerabili i soprusi, secondo una narrazione ben amplificata che autorizza qualsiasi azione anche la più iniqua ed evidentemente lesiva dell’interesse generale in nome di uno stato di necessità. Stato di necessità che può essere superato solo tramite l’opera di un ceto tecnico, perché fondata sull’unico sistema di teoria economica che possa considerarsi vero e salvifico. E che è appunto quello che ci ha dannati: quello dei profeti del mercato capace di autoregolarsi, gli apologeti della deregulation, ché la licenza liberista permette alla casta ragioneristica di perpetuare il primato rapace del profitto e l’egemonia della finanza immateriale. Lo so, questo ceto e i suoi sacerdoti braminici fingono che questa sia la modernità, libera da vincoli, slacciata da tediosi e arcaici cappi, ostentano che sia la globalizzazione che premia chi sa collocarsi nelle regole della concorrenza, della competitività, della lotta senza confini e quartieri. La lotta c’è eccome, proprio quella che si chiamava lotta di classe. È come quando si dice che non esiste più il dualismo destra e sinistra, considerazione plausibile se all’eclissi della sinistra corrispondesse una analoga fine dei capisaldi della destra economica e sociale. Le classi ci sono, sempre più separate, sempre più conflittuali perché sempre più profonde sono le differenze e sempre più crudele l’iniquità, che oggi si veste da austerità. Si lotta di classe è un’espressione solo apparentemente desueta. E estrema. Ma invece l’estremismo è nei dati di fatto, nei modi e nelle armi con cui la classe dominante sta conducendo quella che considera la fase finale e risolutiva di un lungo percorso di guerra. Contro i popoli e contro la democrazia. Attenti a noi, la Grecia è vicina.
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