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Sotto il suo controllo, piazze di spaccio, mercati di stupefacenti, gare d’appalti truccati, politica, finanza.
Ma non è tutto oro quello che luccica: Savastano sembra essere ormai “vecchio”, secondo gli standard del Sistema.
Qualcuno comincia ad alzare la testa, qualcuno comincia a sgarrare, qualcuno comincia a tradire.
E poi c’è il problema della successione.
Se Pietro Savastano è il “don”, uomo con “due palle così”, non si può dire lo stesso di suo figlio, Genny, tanto impacciato quanto viziato.
Cosa succederebbe, quindi, se gli equilibri del Sistema venissero infranti, e se Genny si trovasse tutt’a un tratto a fare le veci del padre?
Stefano Sollima è l’uomo che ha risollevato le sorti della fiction italiana.
Le due stagioni di Romanzo Criminale sono, qualitativamente e oggettivamente parlando, il miglior prodotto nostrano mai realizzato. Non è un caso che la serie tratta dal romanzo di De Cataldo abbia spopolato in tutto il mondo.
Perciò, quando più di due anni fa Sollima dichiarò che avrebbe girato e supervisionato Gomorra, l’adattamento del best-seller di Roberto Saviano, avevo già l’acquolina in bocca.
Acquolina che è diventata fame immediata quando ho visto il trailer della serie, qualche mese fa.
Fame che è diventata voracità quando la serie è finalmente uscita.
Una serie mitologica
E com’è ‘sta serie? È meglio o peggio rispetto a Romanzo Criminale?
Prima di dirlo, occorre fare due passi indietro.
Il film e la serie tv di Romanzo Criminale sono ottimi prodotti per il semplice fatto che si prestavano bene alla trasposizione cinematografica e seriale. Insomma, essendo Romanzo Criminale già “fiction” di suo, avendo sia la pellicola che il telefilm De Cataldo a disposizione in fase di sceneggiatura, era impossibile non tirare fuori da un libro già eccellente due prodotti visivi altrettanto eccellenti.
E anzi, l’essere fiction in partenza aiutava gli sceneggiatori a trovare nuovi sviluppi narrativi, per stupire il lettore che già conosceva l’opera originale (per dire, la seconda stagione di Romanzo Criminale è quasi completamente originale e avulsa dal romanzo; eppure è spettacolare ugualmente proprio perché autonoma).
Con Gomorra di Saviano, invece, le cose sono un tantino differenti.
Perché Gomorra, a differenza di Romanzo Criminale (e a differenza da ciò che la gente pensa – anche a causa di come viene “venduto”) non è fiction, bensì reportage giornalistico. Sono anni che ci propinano “Gomorra” come “romanzo di Saviano”, mentre in realtà è tutto, eccetto che un romanzo.
Una delle inchieste più toste degli ultimi anni
Tutto quello che viene raccontato non è fiction, dato che non ci sono personaggi di finzione, ma è verità, riscontrabile negli incartamenti di procure e tribunali.
Quindi, così come fece Garrone per il film, Sollima e soci questa volta hanno dovuto creare fiction basata su una cronistoria di fatti e vicende reali.
Cosa non facile.
Ma il risultato, stando alle prime due puntate, è più che soddisfacente, dato che sono entrambe molto buone.
Si vede la mano di Sollima, la sua regia, le sue scelte tecniche.
E Gomorra – La serie, può dare tantissimo, al pari di Romanzo Criminale.
La famiglia Savastano
Va detto sin da subito che questo serial è molto crudo. Per certi versi, molto di più rispetto a Romanzo Criminale. Alcune scene colpiscono dritte allo stomaco dello spettatore, soprattutto quello consapevole. Rituali, azioni e situazioni camorristiche riprendono esattamente cronache di cose realmente successe.
Per esempio c’è questa scena, nella seconda puntata, dove Ciro, giovane affiliato del clan Savastano, porta Genny, il figlio del capo, a compiere il suo primo omicidio per farlo diventare uomo. Viene scelto come obiettivo un drogato, inerme e inconsapevole. Ciro mette in mano la pistola a Genny, gli urla di sparare, ma quello, timido e insicuro, prende il bersaglio solo di striscio.
Così è lo stesso Ciro che deve finire il lavoro.
Genny spara alla "quaglia appojata"
Ho letto in giro che molti, proprio a riguardo di questa scena, si sono scandalizzati per l’eccesso di fiction.
In realtà, in questo caso, gli autori hanno operato una sottrazione a ciò che è successo realmente.
Ciruzzo ‘o Milionario, capo indiscusso della camorra secondiglianese, ordinò che suo figlio, Cosimino, ricevesse il suo battesimo di fuoco.
Per l’occasione gli venne preparata quella che in gergo si chiama “quaglia appojata”, ovvero un bersaglio inerme e inconsapevole, offerto come vittima sacrificale al futuro capo.
Solo che Cosimino era un incapace, non aveva mai sparato in vita sua, e quando l'ha fatto…ha preso la “quaglia appojata” solo di striscio (tanto che la “quaglia” è riuscita fuggire e farla franca, ricoprendo di ridicolo il figlio di uno dei boss più temuti di sempre).
La realtà che supera la fiction, insomma.
Ecco perché mi fanno ridere i belati di coloro che ritengono prodotti come questo “ingannevoli” e “colpevoli di infangare Napoli”. Soprattutto, sono belati di chi parla in anticipo e ha paura di fare i conti con quello che gli accade davanti tutti i giorni.
Alte aspettative soddisfano il buta spettatore!
Non c’è assolutamente il rischio di mitizzazione né desiderio di emulazione nei confronti dei personaggi di Gomorra – La serie. Anzi: si prova vera repulsione nel vedere modalità e atteggiamenti di gente come don Pietro Savastano. Gente che, francamente, fa una vera e propria “vita di merda” in cambio di un potere, tutto sommato, effimero.
Forse l’unico difetto, stando alle prime due puntate, sono le prove attoriali di alcuni protagonisti. Trovo don Savastano troppo “caricato”, e alcuni attori non mi sono sembrati “naturali” e all’altezza della situazione. Paradossalmente il problema è dato dall’utilizzo del napoletano: giustissimo che parlino esclusivamente in dialetto, ma in alcuni casi è troppo “artefatto”.
Ma è fiction, come abbiamo detto.
E ci sta.
Ci sono i presupposti per un nuovo capolavoro di Sollima.
Sarà interessante vedere il prosieguo.
E voi?
L’avete visto?
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