È l’era delle serie televisive. Accanto alla serialità di culto, Walking Dead, Breaking Bad, Doctor Who, ha preso forma una macchina seriale piuttosto articolata, Il trono di spade, True detective, Supernatural, Teen Wolf, solo per citarne alcune. Sono perlopiù produzioni americane e inglesi di genere crime, o fantasy, o storiche, come la canadese Viking, la britannica White Queen, l’americana Spartacus.Gli americani, come al solito, primeggiano. Sono i più grandi commercianti del mondo e di tutti i tempi, ha scritto Don Winslow in Satori (un testo piuttosto commerciale, cvd), il prequel del classico di Trevanian, Shibumi. Tutto in loro è commercio: il bene, il male, le emozioni, gli ideali, l’etica, la religione, lo spettacolo. Commerciano bene, per cui curano i dettagli, e se è necessario osano, perché anche il coraggio è oggetto di commercio, anche la trasgressione, lo scandalo. E il prodotto deve essere adeguato. Se c’è da spaventare, si spaventa. Se c’è da provocare, si provoca. Se c’è da offendere, si offende. Senza reticenze, spingono quanto basta. Per dire, se ci fosse da fare la rivoluzione, farebbero anche quella, se questo risultasse funzionale al commercio.In Italia, si sa, le cose vanno diversamente. Non abbiamo quella forma di professionalità frontale, quel coraggio semplificato di tipo protestante, ma l’eterna torsione bizantina. Ci avvitiamo nella reticenza un po’ falsa del cosiddetto buonismo, con serie televisive di preti-eroi, poliziotti senza macchia, storielle edificanti, il festival di Sanremo formato famiglia, che si alternano con telegiornali dove, alle odi sperticate agli algidi personaggi governativi, seguono servizi di cronaca supersplatter con massacri e sgozzamenti riversati sul video con una violenza verbale che lascia sbalorditi.Eppure, anche gli italiani hanno alcune qualità da capitalizzare. Se gli americani sono pronti a commerciare anche l’anima, noi abbiamo la grande arte manifatturiera. Siamo i più grandi artigiani del mondo. Forse dovremmo dire siamo stati, saremmo. [continua qui]
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È l’era delle serie televisive. Accanto alla serialità di culto, Walking Dead, Breaking Bad, Doctor Who, ha preso forma una macchina seriale piuttosto articolata, Il trono di spade, True detective, Supernatural, Teen Wolf, solo per citarne alcune. Sono perlopiù produzioni americane e inglesi di genere crime, o fantasy, o storiche, come la canadese Viking, la britannica White Queen, l’americana Spartacus.Gli americani, come al solito, primeggiano. Sono i più grandi commercianti del mondo e di tutti i tempi, ha scritto Don Winslow in Satori (un testo piuttosto commerciale, cvd), il prequel del classico di Trevanian, Shibumi. Tutto in loro è commercio: il bene, il male, le emozioni, gli ideali, l’etica, la religione, lo spettacolo. Commerciano bene, per cui curano i dettagli, e se è necessario osano, perché anche il coraggio è oggetto di commercio, anche la trasgressione, lo scandalo. E il prodotto deve essere adeguato. Se c’è da spaventare, si spaventa. Se c’è da provocare, si provoca. Se c’è da offendere, si offende. Senza reticenze, spingono quanto basta. Per dire, se ci fosse da fare la rivoluzione, farebbero anche quella, se questo risultasse funzionale al commercio.In Italia, si sa, le cose vanno diversamente. Non abbiamo quella forma di professionalità frontale, quel coraggio semplificato di tipo protestante, ma l’eterna torsione bizantina. Ci avvitiamo nella reticenza un po’ falsa del cosiddetto buonismo, con serie televisive di preti-eroi, poliziotti senza macchia, storielle edificanti, il festival di Sanremo formato famiglia, che si alternano con telegiornali dove, alle odi sperticate agli algidi personaggi governativi, seguono servizi di cronaca supersplatter con massacri e sgozzamenti riversati sul video con una violenza verbale che lascia sbalorditi.Eppure, anche gli italiani hanno alcune qualità da capitalizzare. Se gli americani sono pronti a commerciare anche l’anima, noi abbiamo la grande arte manifatturiera. Siamo i più grandi artigiani del mondo. Forse dovremmo dire siamo stati, saremmo. [continua qui]
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