Certi registi li riconosci dallo stile.
Stile che è un principio astratto. Può incarnarsi nei dettagli, oppure venire suggerito da una visione d’insieme.
David Fincher ha un suo stile.
E vedendo il suo desaturato asettico, che ti fa sembrare linda e pulita anche una catapecchia piena di aggeggi, ecco, sai con chi hai a che fare.
Per cui, già il riconoscere, dalle prime immagini, la mano salda del professionista e del regista, che in questo caso collimano, ben dispone.
Quando poi, nel trionfo di una villa lussuosa dove non c’è un capello fuori posto e ci si può specchiare in tutte le superfici, esplode il rosso del sangue, una cascata… sì, è proprio Fincher.
Gone Girl – L’Amore Bugiardo l’ho visto sotto i migliori auspici, non ho letto il libro, non mi sono informato più di tanto sulla trama, non ho letto recensioni in giro: come facevo anni fa, in procinto di aprire il blog.
L’unico modo per godersi davvero qualcosa. Ignorarla.
Avevo però visto il (bel) trailer al cineplexx, nell’attesa che iniziasse Interstellar.
Avevo salutato Ben Affleck e Rosamund Pike, due attori che mi piacciono molto, e avevo ipotizzato che, in qualche modo, fosse un thriller riguardante l’argomento attuale: la violenza domestisca.
E da qui, iniziano gli spoiler, quindi occhio.
Gone Girl si affida al narrato dei due protagonisti, Nick e la moglie Amy, a attorno a loro si muovono un paio di comprimari molto efficaci: Tyler Perry (Tanner Bolt, l’avvocato di Nick), Carrie Coon (Margo, la sorella gemella di Nick), Kim Dickens (il detective Boney), Neil Patrick Harris (Desi Collins, ex di Amy).I punti di vista si alternano tra il presente e il passato ricordato da Nick e l’assenza di Amy, che è persona scomparsa, sospetto cadavere. Amy parla attraverso il suo diario, dai momenti dell’amore idilliaco con Nick alla trasformazione e alla crisi, alla paura di finire ammazzata.
È successo davvero? È stato Nick a ucciderla?
Thriller classico. Come detto attuale, con una messinscena di lusso.
Infatti la versione di Nick non convince le autorità, troppi indizi e leggerezze lavorano contro di lui. E non convince i media, perché è impacciato davanti alle telecamere, media che inscenano teatrini in cui sezionare la vita del sospetto di turno, considerandolo già colpevole e condannato.
Lo sappiamo tutti, sta accadendo proprio in questi giorni, anche da noi.
Eppure si assiste a qualcosa di diverso, sottilmente psicologico e inquietante.
Il thriller tiene fede alle sue basi, il mistero e la tensione, lo sbroglio dell’intreccio a scatole cinesi, ma allo stesso tempo le elude, cambiando le regole, ribaltando la prospettiva della narrazione e la percezione degli eventi: tramutando l’assenza di Amy in presenza surreale. In vendetta.
E in quel momento capiamo che noi abbiamo percepito la realtà tranquilla, ordinaria, sconvolta da un evento incoercibile quale la sparizione di un affetto, dal punto di vista ordinario, quello di Nick.
Tutti siamo Nick: imperfetti, piegati dalla crisi economica, vincolati nei sentimenti che noi stessi abbiamo cercato, ma che non siamo stati abbastanza bravi da tenere a bada, nel seguire e percepirne in cambiamenti.
Per cui Nick, la sorella Margo, la poliziotta e tutti gli altri sono la visione ordinaria del mondo.
Difficile capire, anzi impossibile accorgersi che questa stessa realtà è manipolata da qualcuno che la realtà la piega ai suoi scopi.
Ed ecco il gigantesco personaggio di Amy. Rosamund Pike è l’opposto di Affleck, quanto lui è robusto, largo, possente e sincero di sguardo, lei si rivela magra, sottile, appuntita, secca da far spuntare le ossa, da riprodurre, con quel fascio di nervi che è il suo fisico, l’equlibrio nervoso della protagonista, che è una psicopatica.
Ora, c’è un che di affascinante e terribile, nell’accorgersi che anche noi spettatori siamo stati manipolati e indotti a credere che fosse Nick, il colpevole, nonostante la faccia da buono di Affleck.
E invece è Amy, che sta cambiando le carte.
E lo sta facendo con tutta la gratuità e la costanza di una psicopatica, che vede il mondo attraverso la sua scala di valori alterata.
Qua non è questione di ciò che sia moralmente giusto o sbagliato, perché il discorso di Fincher, e di Gillian Flynn, autrice del libro e della sceneggiatura, è palese: l’errore, in questa storia, sta da una parte sola: il circo mediatico.
Che, coi suoi baldacchini messi davanti alla casa del sospettato, con il suo cambiare versione e opinione dopo una singola intervista, dopo una battuta che sia stata percepita bene o male, è quanto di più idiota c’è, ad oggi, nella società.
Il vuoto sociale sta in TV: e ha l’aspetto di cinquanta-sessantenni che si conciano come ragazzine, tirate come spinnaker, dalla lacrima telecomandata.
Il vuoto sociale è a casa: in quelli che assistono a queste dirette, nella mamma incinta che non può fare a meno di comparire in TV, dichiararsi amica della scomparsa e proiettare su se stessa le angosce e la pochezza del quotidiano e del demagogico, nella trentenne che si fa il selfie insieme al marito di una donna presumibilmente morta, e poi lo posta su facebook.
Il mistero e l’illusione, invece, che compongono il prodigioso, stanno in casa nostra, nel quotidiano, nei nostri rapporti. E non sono giusti o sbagliati, è la vita, è la condivisione. E in Gone Girl l’incomprensione dell’altro è emblematica e fisica, dal momento che una mente “altra” non si limita, come facciamo noi, a litigare, a mandare in crisi la relazione, ma decide, con tutta la spontaneità e la convinzione, di distruggere il marito fedifrago e traditore dell’immagine (di lui, quella che lui ha impostato per sedurre la moglie), per poi distruggere se stessa (perché rea di aver ceduto alle lusinghe dell’uomo e di aver voluto, per un attimo, davvero cambiare se stessa, mentendo).
Quindi è una crisi di coppia, ma giocata con strumenti un po’ inconsueti, da una mente che non percepisce la realtà e il mondo come noi, la maggioranza.
Alla fine, sbrigando i contrasti e riequilibrando le sorti, il matrimonio tra i due trova nuovi legami artificiali da costruire e da raffornzare.
Un clima di sospetto costante, un terrore endemico, un’ossessione.
Si potrebbe dire che è la storia di un salvataggio multiplo: Nick che è costretto a salvare se stesso dalla moglie che vuole salvare il suo rapporto, quando si rende conto che il marito che è stato capace di corrispondere alla sua idea di uomo ideale è ancora lì, a mentire.
Scegliere la menzogna come facciata di un matrimonio perfetto.
Qualcosa che va oltre il metaforico. Qualcosa che è dentro tutti noi.
Poi, c’è l’altro lato della medaglia, il nostro: sono solo le azioni di una pazza. Questo è l’altro modo per vederla, quello che ci rassicura tutti. A noi non succederebbe mai. E forse è vero.
A volte, i legami veri che trascendono il compromesso e la menzogna esistono. Che non vogliono ipocrisia, che non scendono a compromessi: dove la tua fidanzata, mentre ti sfiora nel letto non dice “Non ti preoccupare, a te non ti uccido”, bensì “Ti amo”, oppure ancora “Ricorda domani di comprare il latte”. Ecco, l’ordinarietà rassicurante.
Ma da un punto di vista cinematografico e narrativo, non funzionano.
Il cinema vuole guardare e farci guardare attraverso gli occhi di Amy.
E noi piace proprio per questo.