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Gone Girl: l’Analisi Finale della Crisi di Coppia

Creato il 08 gennaio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Gone Girl: l’Analisi Finale della Crisi di Coppia

Seven nel 1995, Zodiac nel 2007, Gone Girl nel 2014.

Puntuale ad ogni decennio David Fincher sforna il thriller che cambia inesorabilmente le regole del gioco, una pellicola che imprime salutari sterzate al genere (laddove questo ha cessato da tempo di dire qualcosa) e che impone riflessioni dentro e fuori di esso.

Ma cominciamo dall'inizio e precisamente da quel 1995 segnato da piogge incessanti sulla città e un sole (finale) bruciante come lo zolfo. Attraverso la sua cupa incursione nei territori del serial killer e col pretesto di un'indagine poliziesca, Fincher nel suo capolavoro Seven (quest'anno giunto al suo ventennale) ci ha precipitati dentro una spirale fra le più infernali di sempre, schiacciandoci col fardello di una verità incontestabile, ma anche difficile da digerire: se i vizi capitali riguardano tutti, l'assassino allora non può essere tanto diverso da noi. Il thriller diventa meccanismo interattivo che ci chiama in causa non più come semplici spettatori ma anche come peccatori, complici e perfino come braccio armato del diavolo (John Doe, l'uomo qualunque). Seven conferma che il male è una serpe in seno allevata durante decenni di silente edonismo, il frutto marcio di un individualismo esasperato, l'agghiacciante eredità che ci attende tutti nel terzo millennio. Guardatevi intorno oggi e provate a negare che non stiano realmente così le cose.

Con Zodiac, quasi dodici anni più tardi, l'obiettivo di Fincher si sposta dall'individuo alla società, mentre il killer dello Zodiaco (realmente esistito) diventa la manifestazione proto-terroristica di quell'incubo concretizzatosi come una profezia all'indomani di Ground Zero. L'assassino, per quanto seriale, è imprevedibile perché sfuggente ne è la sua identità nel tempo e perfino nello spazio. Il male, d'altro canto, è una cellula cancerogena che attacca imprevedibilmente dove meno lo si attende ed è proprio per questo che fa più paura: perché lo scorgiamo riflesso negli occhi del passante che ci sfiora o del vicino insospettabile. Dopo il singolo anche la società viene quindi metaforicamente messa sotto accusa dal regista anche se col pretesto, stavolta, di un'inchiesta giornalistica e di un thriller stemperato nel dramma virile. L'inquietudine, tuttavia, resta tangibile e insinuante come sempre.


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