Good Killdi Andrew Niccolcon Ethan Hawke, January Jones, Zoe KravitzUsa, 2014genere, drammaticodurata, 105'
Non è la prima volta che Andrew Niccol si occupa di
guerra. La prima volta lo aveva fatto in modo indiretto, attraverso la
storia del trafficante di armi Yuri Orlov, interpretato da
Nicolas Cage
in “The Lord of The War”. Nella seconda invece, il tema bellico ritrova
gli scenari che gli sono più consoni, collocandosi dalle parti di quel
conflitto afghano che, con molte polemiche, era stato il teatro d’azione
del cecchino americano raccontato da
Clint Eastwood in “American
Sniper”. Il paragone, evidente in superficie, si lega però a significati
più profondi e in particolare alla similitudine di un punto di vista
che in ambedue i casi racconta non solo le pulsioni di morte e
l’abbrutimento dell’essere umano ma anche la dimensione d’isolamento e
il connubio uomo macchina (già esplorato da film come “Belva di guerra” e
“Lebanon”) proporzionali al livello di specializzazioni delle parti in
causa. Alla pari di Kris Kyle, il militare dei Navy Seals che combatte
in nemico secondo procedure che lo distinguono dagli altri commilitoni,
il Tom Egan di “Good Kill” - interpretato da un monolitico
Ethan Hawke -
non appartiene alla schiera dei top gun che abbiamo conosciuto nei film
hollywoodiani. Egan è infatti è un pilota di Droni, ovvero di quei
vettori comandati da terra e impiegati in zone distanti anche migliaia
di chilometri rispetto al punto di controllo. Come Kris Kyle anche Egan
ha una famiglia e una moglie costretta a sopportare le conseguenze di un
lavoro che rende dipendenti.
Ma le differenze con il film di Eastwood si fermano qui poichè Niccol
- regista che nel tempo è riuscito a conciliare la pratica dei generi
con la creatività di uno sguardo fortemente personale - occupandosi di
un tema che ha diviso l’opinione pubblica – per le vittime civili
provocate dallo spregiudicato utilizzo dei droni - crea le premesse di
un’analisi che di fatto non riesce mai a partire. Un po’ perchè Niccol
inserisce la materia del suo film all’interno di una struttura
fortemente schematica e risolta nella dialettica tra gli aspetti
pubblici della vicenda, quelli legati allo
stress di un lavoro di per sè
alienate, e quelli privati, occupati dalla crisi matrimoniale che sono
la diretta conseguenza dell'incarico svolto dal protagonista. Un po’
perché tale cornice fa da sfondo a un tessuto altamente convenzionale
nella definizione del personaggi; con Egan, la cui alienazione è resa
azzerando qualsiasi espressività e secondo una discesa agli inferi che
sa di manuale; e con sua moglie Megan, ultima di una serie di bionde
mozzafiato che il cinema di Niccol non ha mancato di valorizzare e che
però in questo caso viene utilizzata in maniera strumentale e
didascalica, rappresentando semplicemente un espediente per far sapere
allo spettatore quali siano i pensieri del laconico protagonista,
conosciuti dalla spettatore attraverso le risposte che il protagonista è
costretto a fornire alla donna.
Scelte che spingono fuori campo le
questioni legate all' impiego dei droni e alla salvaguardia dei diritti
umani, sostituite da un bignami di pro e contro, in cui le
rivendicazioni dei militari fascisti e guerrafondai si contrappongono
equamente alla correttezza politica dei loro oppositori. E che poi, cosa
più grave, lasciano spazio a un'ambiguità di fondo rimarcata dal
malessere di Egan, attribuito non alla crisi di coscienza per le morti
che ha provocato quanto piuttosto al non aver potuto compiere le proprie
“imprese” a bordo di un normale velivolo da caccia. Una pecca di cui si
deve essere accorto anche Niccol se è vero che, nel finale, il film
tenta di rimediare con una sequenza di giustizia sommaria così posticcia
da aumentare il senso di irrisolutezza dell’intera operazione.