Gli utili finiscono nei paradisi fiscali: “Niente di illecito”.
Un Irish doppio e un panino all’olandese da tre miliardi di dollari. Non è l’ultimo stravagante menù del pub più caro al mondo ma l’escamotage fiscale con il quale Google ha potuto risparmiare parecchi denari che avrebbe dovuto versare al fisco di alcuni dei Paesi dove opera.
Il colosso dei motori di ricerca ha ridotto i suoi versamenti tributari di 3,1 miliardi di dollari negli ultimi tre anni utilizzando una specie di scudo attraverso cui i profitti incassati all’estero finivano nel paradiso fiscale delle Bermuda attraverso canali olandesi e irlandesi.Secondo un’indagine condotta da Bloomberg la manovra di «elusione», ha permesso alla società di Mountain View di ridurre l’aliquota di imposta nei confronti dei fisco straniero al 2,4%. «E’ notevole che l’aliquota sia così bassa, l’azienda approfitta di leggi europee e porta i soldi alle Bermuda dice Martin Sullivan, economista ed ex consigliere dell’Ufficio delle entrate del Tesoro americano. La società opera in Paesi con pressioni fiscali elevate, senza dubbio superiori al 20%». L’aliquota applicata ai profitti delle big corporation negli Stati Uniti è in media del 35%, mentre nel Regno Unito, secondo grande mercato per giro d’affari di Google, si aggira intorno al 28%.
D’altra parte Google, il re dei motori di ricerca, ha adottato strumenti già impiegati da altri operatori del comparto hi-tech come Facebook e Microsoft. Si tratta di schemi che traggono vantaggio dal codice tributario irlandese, il quale consente di veicolare profitti dentro e fuori sussidiarie locali, eludendo buona parte del 12,5% di imposte locali sugli utili. I tesoretti finiscono così in isole tropicali, far west fiscali, come Bermuda o Saint Lucia dove non esiste alcuna forma di imposizione. Il sistema chiamato «Double Irish» non comporta l’accusa di evasione fiscale. «Si tratta di una pratica ampiamente utilizzata da altre imprese globali che operano in diversi settori», spiega Jane Penner, portavoce di Mountain View. Facebook ha messo a punto un sistema simile che consente di veicolare parte dei profitti alle isole Cayman. Tecnicamente il metodo funziona con il «transfer pricing», ovvero movimenti contabili tra società controllate che consento- no di spostare i proventi in sussidiarie con sede nei paradisi fiscali, e di allocare le spese in quelle che operano in Paesi con aliquote elevate.
L’operazione si traduce per Google in un rafforzamento degli utili pari al 26% lo scorso anno. Secondo un’analisi di mercato se la so-eletti dovesse rispettare l’aliquota Usa del 35% per tutti i suoi profitti, il valore del titolo sarebbe di 100 dollari inferiore.
Fonte: Il Corriere Della Sera