In questi giorni si assiste ad un attacco vergognoso ad un gruppo di ragazzi [di “buona famiglia”] colpevoli del troppo successo.
Dà la carica Matteo Bordone in un articolo in cui si parte dalla romanità per arrivare ad un attacco frontale a The Post Internazionale, testata all digital, che sarebbe colpevole di essersi macchiata di avere al suo interno “figli di papà”, di avere un nome “furbetto” che serve a rubare accessi a Il Post [con il quale Bordone ha collaborato] e ad Internazionale, e di avere l’endorsement di Roberto Saviano.
Concetti ripresi ed amplificati da un articolo su Gli Stati Generali, altra testata alla digital, e su Il Giornale di Sallusti che oltre a proporre la medesima tesi sul proprio sito addirittura vi dedica una pagina interna nella versione cartacea con tanto di fotografia degli indagati dalla santa inquisizione del giornalismo.
Si tratta di una vicenda dai tratti al tempo stesso inquietanti e divertenti.
L’idea che il nome sia “furbetto” per sfruttare le pieghe del SEO e “rubacchiare” utenti alle due testate delle quali il marchi di The Post Internazionale si compone è infondata sia oggettivamente che soggettivamente.
Lo è soggettivamente poichè Il Post di fatto nasce ispirandosi esplicitamente ad il più celebre The Huffington Post che allora non aveva una versione italiana come oggi. Versione italiana che dovrebbe o sentirsi altrettanto danneggiata dal nome de Il Post o essere furbetta, poichè, arrivata dopo la nascita della testata diretta da Luca Sofri. In entrambi i casi mi pare davvero che la visione di Bordone e amici pour cause sia offuscata, per usare un eufemismo.
Lo è oggettivamente, e denuncia la scarsa conoscenza di come funziona il SEO nel 2015 da parte di tutti e tre i giornalisti che coltivano questa tesi, perchè, banalmente, se si cerca Il Post nelle prime dieci posizioni, quelle che valgono, escono i riferimenti corretti della testata e, appunto quelli di HuffPost Italia ma non quelli di The Post Internazionale. Altrettanto avviene con la ricerca di Internazionale che oltre ai riferimenti della testata della testata diretta da Giovanni De Mauro propone, sempre nelle prime dieci posizioni, quelli del club calcistico, del festival internazionale del giornalismo e dell’inno comunista di storica memoria. Spero che sull’onda del suo ragionamento, ammesso che sia possibile definirlo tale, non sia questo ispirazione per un attacco virulento nei confronti di Thoir e/o dei comunisti, ovviamente romani.
Se invece ci si riferisce ai singoli articoli, nel caso questi ottengano un maggior numero di visitatori dai motori di ricerca rispetto a Il Post e ad Internazionale, questo non è certamente imputabile ad eventuali astuzie e/o sotterfugi ma semplicemente al fatto che evidentemente, se così fosse, a The Post Internazionale lavorano meglio su questo fronte.
Per quanto riguarda l’accusa di essere “figli di papà” [per giunta romani, eh!], da un lato non credo che questa possa essere una colpa ne che tanto meno lo sia aver studiato giornalismo in prestigiose università internazionali, anzi nel secondo caso è una fortuna che queste persone siano rientrate in Italia a spendere il loro know how invece di restare all’estero dove, a parità di condizione, non ho dubbi che avrebbero avuto maggior soddisfazioni a cominciare dall’evitarsi filippiche piene di rancore ed invidia quali quelle citate. Sul tema vale inoltre la pena di rilevare come tra i componenti della redazione non vi siano solo i soggetti indicati e dunque certamente non siano tutti di “buona famiglia”
Saviano fa endorsement nei loro confronti e questo genera un vantaggio. Certo, e quindi qual è il problema? Forse che lo si desiderava per se o che i “ragazzi” sono svegli e, come avrebbe fatto chiunque altro, sfruttano le relazioni dirette e/o indirette che hanno. Conosco realtà editoriali, che preferisco non citare avendo lavorato come consulente per loro, che hanno altrettanto endorsement da personaggi famosi ma non spostano una virgola. Inoltre se è vero che Saviano ha un numero di fan importante su Facebook, ammesso e non concesso che questo sia un driver di traffico al sito rilevante, questo vale anche per la pagina di The Post Internazionale.
La storia dell’attacco a Giulio Gambino ed agli altri componenti della testata è l’ennesima pagina vergognosa del giornalismo italiano fatto di invidie, rancori e amici degli amici ben prima che si affacciasse sul panorama italiano The Post Internazionale colpevole solo del successo che sta ottenendo, e che evidentemente infastidisce i poveri di spirito, o peggio. Giornalisti che, pare, ignorino, a prescindere dal resto, che è vietato dal codice di disciplina dei giornalisti criticare altri giornalisti/testate concorrenti, direttamente o meno.
Google ti ama solamente quando tutti gli altri ti amano, è scritto alla prima pagina del manuale sul SEO for dummies, meglio farsi un ripassino sul tema invece di alienare il prossimo.