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Regia: Stefano Incerti
Marino Pacileo (T. Servillo), detto "Gorbaciof" a causa di una vistosa voglia sulla fronte, è contabile presso il carcere di Poggioreale a Napoli.
Schivo e solitario, Gorbaciof passa le sue serate nel retro di un ristorante cinese giocando a poker.
Per finanziare le sue partite al tavolo verde prende i soldi dalla cassa del penitenziario che puntualmente rimette al proprio posto.
Quando, però, si trova a dover saldare i debiti di gioco suoi e soprattutto quelli del proprietario cinese del locale, della cui figlia si è innamorato, è costretto a ricorrere ad "aiuti" esterni.
Gorbaciof è un solitario, un duro, non accetta soprusi e non si piega neanche nel pericoloso mondo del gioco d'azzardo, ma l'amore per la giovane figlia (Mi Yang) del ristoratore cinese lo porterà ad entrare in contatto con mondi pericolosi.
Gorbaciof, presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Venezia, è un noir in salsa partenopea che oltre al merito di offrire un timido spaccato di una Napoli "orientale", si basa praticamente sul nulla.
Il regista scarica il film sulle robuste spalle di Toni Servillo, che pur facendo ricorso a tutta la sua grande arte non può reggerne il peso, rischiando seriamente in alcuni frangenti di diventare macchietta di se stesso.
A metà pellicola, la sceneggiatura (dello stesso regista e D. De Silva) comincia a mostrare la corda e i limiti del film, inevitabilmente, si materializzano sullo schermo.
Tutto è troppo scontato, persino telefonato e una buona rappresentazione degli eventi non basta a colmare l'assenza di sostanza.
Per lo scontatissimo finale, S. Incerti si rifugia in maniera palese nel confortevole abbraccio di Brian De Palma e del suo Carlito's Way (1993) e addirittura nel tarantiniano Pulp Fiction (1994), senza tralasciare un richiamo (a ruoli invertiti) a Le Conseguenze dell'amore (2004) di Paolo Sorrentino.
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