Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri sera qualche commentatore in quell’età dei rimpianti che persuade ancora qualche maldestro a indossare il chiodo, girare in moto malgrado la lombaggine, calzare stivaletti col rialzo e tingersi i capelli di improbabili colori, pur esprimendo perplessità per composizione e programma ciclico mensile del nuovo governo Renzi, offriva al popolo intento ad approfittare dell’ultima occasione di voto plebiscitario o meno: il Festival di Sanremo,una sfumatura di paterno ottimismo.
In fondo, borbottava dentro agli stessi peli della sua barba il filosofo Cacciari, impreparazione, incompetenza e improvvisazione se appartengono a giovani generazioni, possono essere il segno di una augurabile e inconsueta innocenza, prova di integrità, dimostrazione evidente di non aver ancora sperimentato commerci osceni col potere, di essere ancora immuni dal contagio della corruzione economica e morale.
E se poi nella compagine sfilano bei visetti, madonnine infilzate, delicati incarnati, sguardi da cerbiatte, con buona pace della Litizzetto, il gioco è fatto: perché se è legittimo, anzi doveroso dare del cialtrone inetto a Razzi, del venduto inverecondo al Scilipoti, del bastardo sfruttatore a Calearo, è assolutamente e rigorosamente proibito dare della carognetta inadeguata e incapace, assoggettata al padronato più rapace alla nuova riccioli d’oro del governo, Marianna Madia, quella che appena eletta rivendicò di “non sapere nulla, non conoscere nulla” come una virtù, ma che ora dimostra di aver imparato in fretta come fottere i lavoratori, grazie a alcuni cattivi maestri cari al premier e ai premier prima di lui.
Che bei faccini e limpidi volti maschi di quasi quarantenni non siano così poco adusi agli usi di mondo lo si apprenderebbe anche solo scorrendo le loro biografie, brevi ma esaurienti. Che sia no stati piazzati là per perseverare con giovanile esuberanza nell’ubbidienza ai diktat che stanno distruggendo il paese sulla cui Costituzione giurano slealmente, lo si apprende anche con una rapida scorsa alle referenze che presentano con sfrontata esultanza. Dalla figlia d’arte Federica Guidi, imprenditrice, ex presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, sulla stessa barca insieme a Colaninno e alla squadra juniores degli affiliati di Ichino e Sacconi, con gli operai e i lavoratori italiani cui propongono la liberazione dalle fastidiose pastoie delle regole e di diritti, con il “varo dei nuove relazioni industriali” e la più licenziosa liberalizzazione e privatizzazione dei beni comuni, alla Roberta Pinotti, festosa affossatrice della tradizione di sinistra in uno dei luoghi deputati in Liguria, che va a ingentilire il comparto della Difesa con il suo “portato” di mamma felice, avendo virilmente difeso allo spasimo l’acquisto improvvido degli F35, insostituibile “arma di pace”. Dalla Federica Mogherini che dovrebbe assolvere un ruolo di negoziatrice dei cappi al collo imposti dall’Ue , esibendo il curriculum di fedele custode nel suo piccolo delle relazioni tra i partner occidentali sempre più preoccupati di mantenere una leadership in declino, attiva supporter in bilaterali con gli Usa, come è d’uopo in una irriducibile anche se se timida fan di Veltroni, del quale il marito è stata plenipotenzario nei rapporti con l’estero. Alla renziana di ferro Maria Elena Boschi che può vantare l’incarico ricevuto dalle mani del capo indiscusso di procedere con dinamica rapidità alla privatizzazione di Ataf, l’azienda dei trasporti fiorentina. E che può esibire in segreteria del Partito il ruolo di responsabile alle riforme, e così si che stiamo freschi. Per non dire di Orlando prima Ministro invisibile all’Ambiente dove era approdato da responsabile Giustizia, ora riportato agli antichi studi, in modo che in nessuna della due collocazioni sia costretto ad affrontare il tema cruciale delle ecomafie.
È perfino banale scorrere i curricula dei soliti sospetti, gente da Casini, ringhiosi e svergognati appartenenti a quella Scelta Civica che dovrebbe essere denunciata per abuso del nome, il responsabile dell’Economia, ficcato là a fare il totem e al tempo stesso il tabù dell’ideologia di regime.
Un tempo l’avrebbero chiamato governicchio, sembra una cellula di boy scout, bambinacci vestiti da cretini con qualcuno più adulto e cretino vestito da bambino. Peccato che i loro siano giochi al massacro.