Il motociclismo è uno sport pericoloso, recitano i circuiti inglesi.
Settimane fa, Andrea Dovizioso è caduto e rimasto in traiettoria per pochi, eterni secondi.
Solo un caso che non sia stato investito dalla moto che lo seguiva, la Yamaha di Valentino Rossi. Corre in MotoGP da almeno tre stagioni, con un mezzo molto veloce e certo non si può definire un novellino. Lo hanno schivato, magari perchè lo spazio tra il suo corpo e le moto che arrivavano era di tre o quattro metri più ampio di quello tra Shoya, De Angelis e Redding.
C’è sempre un pilota “nudo” all’esterno di una moto e quando cade è assolutamente solo ed indifendibile da urti, capitomboli ed investimenti. Non corrono con un’armatura.
Quello che non è piaciuto, di una domenica a San Marino che mi ha riportato alla memoria quanto successe da quelle parti un pomeriggio di 16 anni fa, è stata la prosecuzione di una gara che doveva essere sospesa, MotoGP compresa, immediatamente.
Non voglio giudicare uno sport che seguo da tantissimo tempo. Come sputare su qualcosa che mi piace, ed è quanto di più ipocrita io possa scrivere. Kato e Tomi hanno scelto liberamente quale fosse la loro strada. Una strada su cui devi continuamente fare i conti con il nero che potrebbe ingoiarti all’improvviso.
Ma continuare tutto?
Specialmente con la classica doccia di Champagne e applausi – e fischi del tifo più becero – del post gara?