Magazine Cinema

Grace di Monaco

Creato il 07 giugno 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

French-Grace-of-Monaco-PosterFilm d’apertura, fuori concorso, del 67mo Festival di Cannes, boicottato dalla famiglia Grimaldi ed accolto da critiche sferzanti da parte della stampa specializzata, Grace di Monaco, pur non essendo certo un’opera memorabile, soffrendo per più di un’ingenuità a livello di scrittura (Arash Amel) e regia (Olivier Dahan), resta comunque, almeno a parer mio, una realizzazione nel complesso gradevole, in particolare se ci sofferma sull’aspetto essenzialmente visivo.
Al riguardo, infatti, non è difficile notare, tanto nella scenografia (Dan Weil) che nella fotografia (Éric Gautier), quest’ultima dai colori piuttosto saturi e “pastellosi”, senza dimenticare i costumi (Gigi Lepage), un più che evidente richiamo alle produzioni americane degli anni ’50-’60, riscontrabile inoltre in varie inquadrature.
Un ulteriore merito, poi, consiste nell’aver voluto prendere le distanze dalle caratteristiche tipiche di un film biografico propriamente detto, esprimendo il tentativo di portare in scena, all’interno di una narrazione circoscritta in un cadenzato spazio temporale (dicembre 1961-ottobre 1962), delimitata dalla dichiarazione d’intenti di trarre libera ispirazione dai fatti reali, il ritratto di una donna che in un determinato momento della sua vita si trovò ad avvertire il peso della storia sulle sue spalle.

Nicole Kidman (movieplayer)

Nicole Kidman (movieplayer)

Ecco quindi il rilievo offerto al dilemma di Grace Kelly (Nicole Kidman) nell’affrontare una scelta definitiva, recitare nuovamente una parte sul set cinematografico o all’interno del proscenio, altrettanto impegnativo, di una realtà costituita dalla ragion di stato e dai doveri di corte, sino a giungere alla consapevolezza, acquisita e sofferta con eguale lucidità, di dover sempre stare attenta a restare “al centro dell’inquadratura”, come gli suggerisce in una scena Alfred Hitchcock (Olivier Rabourdin). La storia prende piede con un piano sequenza che ci conduce all’interno del set di Alta società (High Society, Charles Walters, dalla commedia teatrale The Philadelphia Story, già portata sullo schermo da George Cukor nel 1940): siamo nel 1956, Grace dà l’addio alle scene per poi convolare a nozze col principe Ranieri III di Monaco (Tim Roth) e trasferirsi definitivamente nel Principato. Sei anni più tardi il citato Hitchcock si reca in terra monegasca, intende proporre a colei che ormai è Sua Altezza Serenissima il ruolo da protagonista nel suo nuovo film, Marnie.
Grace appare entusiasta all’idea, per quanto l’etichetta di corte imponga determinate regole, e non sia, inoltre, quel che si dice un bel periodo per il Principato.

Tim Roth (movieplayer)

Tim Roth (movieplayer)

Dalla vicina Francia, infatti, il presidente Charles De Gaulle (André Penvern), in procinto di dichiarare guerra all’Algeria, minaccia l’embargo e l’annessione forzata del regno alla regione se non si provvederà a mutarne il regime fiscale, idoneo ad agevolare le società (e idonei contribuenti) francesi in trasferta proficua a Monte Carlo. Combattuta fra il ricordo di ciò che è stata e la coscienza di quel che potrebbe ancora essere, non solo nella qualità di attrice, ma anche, in particolare, come apportatrice definitiva di una nuova immagine per il Principato, Grace si preparerà per il ruolo più impegnativo mai affrontato, coadiuvata spiritualmente da padre Tucker (Frank Langella) e dal Conte D’Aillieres (Derek Jacobi) relativamente all’apprendistato dei modi più consoni per una principessa di stare al mondo…
Dahan sceglie di attenersi rigidamente al copione, mantenendo una studiata distanza da quanto viene narrato sullo schermo, lasciando che tutto scorra davanti la macchina da presa, ravvivando qua e là un’impostazione altrimenti sin troppo anodina.

Roth e Kidman (movieplayer)

Roth e Kidman (movieplayer)

Mi riferisco in particolare ai ripetuti primi piani che vanno a stringersi sul volto della Kidman, mantenendo una mobilità quasi frenetica intorno gli occhi e la bocca, che va al di là di un intento puramente voyeuristico. Dahan riprende infatti quanto era solito fare Sir Alfred nei film che hanno visto Grace Kelly protagonista, così il gioco di campi e controcampi fra Nicole/Grace e la governante Madge/Parker Pasey denota un richiamo a quanto messo in scena dal regista inglese in Rebecca, 1940, dove il confronto avveniva fra Joan Fontaine/Lady De Winter e Judith Anderson/ Sig.ra Danvars.
Egualmente la trama si snoda con modalità sghembe, ora sembra adagiarsi in un patinato fluire, ora appare idonea ad animarsi in virtù di una serie di animati colpi di scena, come un intrigo di palazzo che verrà improvvisamente allo scoperto (realmente avvenuto, ma in anni diversi da quanto narrato nel film) o, soprattutto, nella scena del Gran Ballo della Croce Rossa, per quanto avvolta in una curiosa atmosfera intenta a riunire in un sol colpo gli stilemi di un pragmatismo diplomatico tipicamente made in Usa ed un assunto favolistico a metà strada fra l’aura propria delle sovrane Disney “d’epoca” e quella tipica del ciclo di pellicole dedicate alla principessa Sissi.
A dominare sempre e comunque la scena è ovviamente Nicole Kidman, piuttosto convincente nella sua interpretazione, anche se a volte manieristica, dando per scontato che non fosse certo replicabile il particolare carisma di una donna come Grace Kelly, quell’allure in apparenza altero e distante ma illuminato da slanci improvvisi idonei ad esprimere, con rara ed ineguagliabile eleganza, un’insinuante sensualità.

Derek Jacobi (movieplayer)

Derek Jacobi (movieplayer)

Il resto del cast, a partire da un Tim Roth sin troppo in sordina, rimane sullo sfondo, parte integrante della coreografia, semplici figuranti idonei a dare impulso alla narrazione, se e quando necessario, come la Maria Callas interpretata da Paz Vega, vera e propria cartina di tornasole nel far intuire a Grace il ruolo definitivo da assumere. In conclusione, Grace di Monaco è una pellicola con tanti scricchioli nella sua struttura portante, ma capace di reggere comunque sino alla fine, lasciandosi vedere e facendosi apprezzare nel complesso, in virtù della sua aria da cinema “espositivo” d’altri tempi.
Risalta in particolare, questa almeno è la principale sensazione che mi ha suscitato, un genuino e sincero afflato pop, valido a circoscrivere la complessa figura di Grace all’interno di una struttura circolare (inizio e fine coincidono) idonea a farsi simbolo, anche se Dahan non indulge al riguardo in particolari raffinatezze, di un emblematico dualismo fra la ricerca di serenità e il rammarico per una probabile vita diversa, espresso in un dolente ensemble pregno di quelle sfumature proprie di una grande interpretazione.

***********************************

Grace Kelly in una scena di

Grace Kelly in una scena di “Caccia al ladro” (“To Catch a Thief “, A. Hitchcock, 1955)

L’idea che la mia vita sia una favola, di per sé è una favola (Grace Kelly)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :