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Oggi mi sono chiesta cos’è che fa di una persona uno scrittore. Se si nasce con un talento come si riesce a capire se questo fattore X c’è davvero o è soltanto un’illusione? Non ce l’ho una risposta a questa domanda e forse non ne troverò mai una soddisfacente. Ho mille pensieri che mi perseguitano, che giocano a rincorrersi e a nascondersi nella testa. Non so neanche se riuscirò a scrivere domani presa come sono dallo studio.
Forse riprenderò a pensare a L'ultima estate in un momento un po’ più calmo, tra un mesetto probabilmente, quando avrò, spero, la mente più libera e pronta a proseguirlo. Mi costa parecchia fatica portarlo avanti perché sto lavorando tantissimo oltre che a montare tutti i tasselli della storia anche sulla forma. Lo scopo è quello di arrivare a una sorta di grado zero della parola. Devo togliere e seccarla senza privarla della poeticità. Per arrivarci rileggo e rileggo ogni passaggio e non vado avanti fino a quando non ritengo che “fili a dovere”.
Per me non è una questione di appartenere a un “genere”, come sento dire a molti. Il problema è realizzare il mio stile. Chi sono e voglio essere sulla pagina.
Altra nota dolente sono i dialoghi. Renderli realistici è complicato, soprattutto perché ogni personaggio ha il suo modo d’esprimersi. Gabriele ha il suo. Lorenzo il proprio. Uno ricorre ad un’inflessione dialettale, l’altro no, ha un italiano pulito. Tanto per fare un esempio del casino in cui mi sono cacciata.
Però ne vale la pena. Mi piace questo libro. Non so se più degli altri. Mi coinvolge e mi fa spingere ancora più a fondo negli abissi dell’anima umana. Mi costringe a sporcarmi le mani e va bene così. Rientra tutto nella norma soprattutto se ottengo il risultato voluto.
Un film sulla carta
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