Da molti anni si parla di trasformazione del sistema politico da “democrazia dei partiti” a “democrazia del pubblico”, mutazione di un ossimoro in un altro ossimoro, che in ambedue i casi di democratico c’è ben poco, e c’è invece molto della conversione di tecniche di consenso anche autoritarie e dirigiste in operazioni di puro marketing, da ingegneria di affiliazione in persuasione pubblicitaria e di audience.
E chi si preoccupava che via via i cittadini votassero sempre di più e irrimediabilmente non per qualcuno per conoscevano, ma per qualcuno che portava la casacca di un partito, oggi dovrebbe essere ancor più perplesso che si voti per qualcuno sponsorizzato, in offerta speciale e “garantito” da qualcuno tramite ostensione televisiva. Eh si è la società dello spettacolo, resa più perentoria, cialtrona e volgare dalla crisi, dalla mancanza di senso critico, penalizzato come disfattismo, dalla supina accettazione di messaggi, per lo più menzogneri, che si sospetta che ,lo siano, ma che vengono legittimati da sponsor e mediatori che tramite l’elettrodomestico fanno parte della nostra quotidianità, ci vendono i prodotti coop, giocano con Mike, stanno seduti a far sberleffi o lezioncine moralistiche nel nostro tinello.
È banale dirlo, ma ormai la banalità è una virtù, un valore che promuove, conforta i consumatori e rassicura i telespettatori, accattiva con la simpatia sbruffoncella della qualità di chi ci racconta che farà ciclicamente una riforma al mese e non ci resta che sperare nella menopausa, o dell’effetto lavacro – sacro e prodigioso – di fedine molto sporche tramite l’acquisizione di consensi elettorali oltre certe soglie (prescindendo dagli aspetti manipolatorii in tali consensi, ottenuti grazie al controllo oligopolistico dei canali informativi).
La brutta bruttissima realtà che viviamo è addomesticata grazie alla sua riproposizione sotto forma di imitazione. E lo spettacolo più seguito, amato e criticato dagli italiani ne è una tremenda metafora o allegoria. Tanto che operai che con buona pace di Cuperlo, prima si accontentavano di farsi vedere su gru e torri, mettono in scena la loro disperazione inascoltata e ricattata, scegliendo lo scendiletto più soffice d’Italia come spalla. E non importa se fosse concordato, come urla Grillo, se come sibila la stampa del tycoon delle Tv, siano stati ospitati in un hotel 5 stelle, resta il fatto, infame e grottesco che una tragedia per esistere ha bisogno della trasposizione “teatrale”, come dimostrano le inondazioni sottovalutate in Calabria, le elezioni taciute in Sardegna, o i trionfalismi per l’erezione della Costa o i silenzi per una vagone messo di traverso che isola ridicolmente territori nazionali dal resto del Paese.
Aveva ragione Weber, se volete visioni andate al cinema, ha ragione il Simplicissimus, se volete una politica delegata da seguire in streaming come la Tosca alla radio, sbucciando i piselli o mettendovi i bigodini nella vignetta di Novello, allora senza girarci intorno c’è la fiction, con le aule di giustizia su Forum, la sanità su Grey’s Anathomy, con l’accoglienza tramite reality di Albano.
Sarebbe raccomandabile evitare le imitazioni, che il più delle volte ridicolizzano e avviliscono ma non le vittime ormai gratificate dalla popolarità di risulta offerta dai professionisti della satira, pochissimi.
No parlo dell’imitazione che ci viene offerta ogni giorno e che riduce le nostre esistenze a sopravvivenze, a contemplazione passiva, come quando i genitori “meno abbienti” promettevano ai bambini che li avrebbero portati a vedere i signori che mangiavano il gelato. E che ci propone spettacoli di seconda qualità, campagne pubblicitarie che soppiantano la comunicazione di programmi e scelte, leadership mostrate con brand, un Paese ridotto a vetrina dell’outlet, figure vuote e futili dipinte come gente del fare e del rinnovare.
Ieri sera vi sarà magari capitato e temo non vi abbia offeso, l’ostensione di una delle attrici più ironiche, colte, gentili e al tempo stesso graffianti, esibita come una reliquia per sponsorizzare una sedicente erede, sguaiata, ossessionata da fantasie sessuali da bambina mal cresciuta, becera, avida e continuamente riproposta come icona di una smaliziata femminilità “moderna”, spregiudicata, proprio come l’imitatore della politica, che corre sulle ruote del successo costruito da altri, interpreta il dinamismo, l’affaccendarsi, l’ambizione non solo ammissibile, ma esibita come desiderabile qualità.
Si vede che sono invecchiata, preferisco Franca Valeri alla Litizzetto, la Signorina Snob alla Jolanda, Camilla Cederna alla Celi, la compagnia dei Giovani ai Servillo, la Dolce Vita alla Grande Bellezza, la vita a questo tragico avanspettacolo.