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Grand Budapest Hotel

Creato il 14 maggio 2014 da Misterjamesford
Grand Budapest HotelRegia: Wes Anderson
Origine: USA, Germania
Anno: 2014
Durata: 100'

La trama (con parole mie): uno scrittore ospite del leggendario Grand Budapest Hotel, affascinato dalla sua struttura decadente e dagli ospiti curiosi, incontra il suo proprietario, Zero Moustafa, ed avuta l'occasione di cenare con quest'ultimo finisce per diventare il testimone del racconto della vita dell'uomo, preso sotto l'ala protettrice, nel periodo tra la prima e la seconda guerra che sconvolsero il continente, dal mitico consierge Gustave H., cuore del Grand Budapest stesso ed amante di molte facoltose e vecchie signore. Alla morte di una di queste, Gustave finisce al centro di un complicato intrigo legato alla cospicua eredità della donna, nel mirino di parenti più o meno lontani capeggiati dal figlio Dmitri e della sua guardia del corpo Jopling: carcere, fughe e rischi più che concreti di morte diverranno dunque pane quotidiano per Gustave e Zero, pronti a lottare l'uno accanto all'altro per sopravvivere e costruire il futuro delle loro vite, bene o male possano le stesse finire.
Grand Budapest Hotel
Wes Anderson è uno dei paladini ufficialmente riconosciuti del radicalchicchismo.Praticamente da sempre.Tutto, nel suo Cinema, dalla fotografia curata maniacalmente ai carrelli laterali che paiono correre nei corridoi di una casa di bambole, dai colori pastello al gigioneggiamento selvaggio dei suoi attori, grida al radicalchicchismo.
Senza se e senza ma.Eppure, allo stesso modo, dietro l'apparenza ed il piglio, i lavori del regista texano - il meno texano del pianeta, mi viene da aggiungere - traboccano cuore e sentimenti neanche ci trovassimo nel pieno di uno dei film pane e salame che tanto piacciono al sottoscritto: ricordo bene quanto riuscì a sovvertire sensazioni e valutazione Moonrise kingdom, penultima fatica del buon Wes, che iniziai a recensire pensando di sfoderare le bottigliate delle grandi occasioni e finii per riscoprire come una delle parabole migliori del Cinema grottesco recente, neanche i Grimm avessero incontrato un delirio di colori pastello e di profonda critica sociale.Con Grand Budapest Hotel, probabilmente sogno segreto del regista da anni, album di fotografie con soggetti principali tutti i suoi attori feticcio - da Owen Wilson a Willem Defoe, passando ovviamente per Bill Murray, fino allo spazio concesso a nuove promesse come Saoirse Ronan -, Anderson poggia invece sul bancone del Saloon un cocktail che pare un mix abilmente dosato di romanticismo tedesco, stile narrativo russo - un pò Anna Karenina, un pò La figlia del capitano -, ironia nera, avventura vecchio stile in grado di richiamare addirittura qualcosa dell'espressionismo ed una fiaba nera da far impazzire dall'invidia gente come Tim Burton.Le vicende di Gustave H. e Zero Moustafa, charachters che non avrebbero sfigurato in pellicole vintage d'alta scuola come i lavori d'ambientazione indiana di Fritz Lang o i grandi classici dell'avventura made in USA, senza contare il fascino dell'atmosfera mitteleuropea da spionaggio - e nonostante il bianco e nero c'entri poco o nulla, finisce per tornare a galla il Welles de Il terzo uomo e quello di Quarto potere -, sono un piacere per gli occhi, il cuore ed il cervello, ed il curioso mosaico di immagini e figurine in cui si muovono si rivela composto da tessere dai colori quasi accecanti - il rimbalzare delle telefonate della setta segreta dei consierge -, altre di bruciante ironia - i riferimenti al nazismo e gli uomini al servizio del regime - ed altre ancora velate di malinconia, che conducono lo spettatore per mano ad un finale in cui si incontrano il Woody Allen di Ombre e nebbia ed il gusto per il romanzo ottocentesco, carico di passione ed energia eppure in qualche modo segnato dall'inevitabile sconfitta dell'Uomo per mano del Destino.La doppia narrazione, inoltre, dell'autore e di Moustafa, regala una struttura ad incastro che convince senza riserve, e nonostante l'intero lavoro dia l'impressione di un divertissement senza altro scopo se non intrattenere il regista stesso ed i suoi collaboratori, il risultato è quello delle grandi occasioni, ed il sentimento messo da Anderson in questo racconto è quanto di più lontano possa essere pensato rispetto al concetto di radical chic ed alle conseguenze che, di norma, l'esserlo porta agli autori ospiti di queste pagine.E mentre sfilano davanti alla macchina da presa scenografie da sogno e si assiste ad intrighi da Dieci piccoli indiani, fughe da penitenziari neanche ci trovassimo in un Classico con Clint Eastwood, storie d'amore più o meno realizzabili o consuete, prende corpo un film che è una piccola perla per gli occhi ed il cuore, ennesima conferma di un Autore con la a maiuscola, capace di raccontare attraverso un'estetica da urlo storie che pare lo stesso abbia la necessità di portare sul grande schermo a prescindere dal fatto che sappia farlo con uno stile personale, unico e convincente.In un certo senso, Grand Budapest Hotel rappresenta una summa del percorso compiuto da Anderson fino ad ora, all'interno del quale è possibile ritrovare tutti i temi cari al regista accanto ai suoi attori favoriti, pronto raccogliere e sfruttare la vena ironica e surreale de I Tenenbaum accanto alla delicata e spietata magia di Moonrise Kingdom e all'impatto esplosivo di Fantastic Mr. Fox: avercene, di Indiana Jones versione radical come questo.E lo dico con tutto il cuore di un paladino del pane e salame.
MrFord
"Sleep on the left side
leave the right side freehope gets saltedas those around you leavewe're gonna let it up like India House on firewe're gonna let it go
and let it go higherlet it go."Cornershop - "Sleep on the left side" - 


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