Grand Budapest Hotel – Wes Anderson

Creato il 20 agosto 2014 da Maxscorda @MaxScorda

20 agosto 2014 Lascia un commento

C’e’ qualcosa di programmatico gia’ nel titolo e Anderson alla regia in qualche modo conferma l’aria che in effetti troveremo.
E’ il racconto di un racconto, ovvero uno scrittore che ricorda quando incontro’ il proprietario del Grand Budapest Hotel e di come ne venne in possesso.
Si torna quindi dal 1968 al 1932 quando il riccone era ancora una garzone, anzi l’ultimo dei garzoni e volente o nolente, dovette seguire nelle sue avventure il capo del personale Monsieur Gustave, uomo davvero tuttofare inclusi certi servizi extra con le vecchie villeggianti, una delle quali alla morte, gli lascera’ in eredita’ un preziosissimo quadro, lascito osteggiato dal figlio di questa che non esitera’ a condannarlo a morte pur di possedere tutto quanto.
Ancora una volta Anderson confeziona un film che non puo’ non piacere e diciamolo, dell’intera sua produzione e’ certamente il piu’ raffinato, ricercato e tecnicamente ineccepibile. Anzi e’ proprio sotto l’aspetto tecnico che porta avanti un discorso gia’ visto ad esempio da Baz Luhrmann e i suoi cartoni animati viventi, in realta’ evoluzione di narrazioni sopra le righe e percio’ curiose e divertenti alla "I Tenenbaum" e ancor meglio "Le avventure acquatiche di Steve Zissou". La struttura stessa di racconti nei quali i peggiori problemi dei personaggi si limitano ad un "acciderbolina", danno la misura di un cinema nato per intrattenere e che Dio gliene renda merito, specie perche’ e’ bravissimo a farlo. Gli danno una mano mezzo cinema mondiale da competere con Malick e hanno l’aria di essersi divertiti tutti moltissimo accentuando cosi’ lo status di favolona.
Mi e’ piaciuto molto, trovo difficile non possa piacere del resto. Adoro soprattutto l’atmosfera da ex impero sovietico e l’iconografia che alla fine ha reso irresistibile Sokal con la sua saga Syberia, oltre ovviamente una passione mai celata per l’architettura da impero del male in pieno spolvero nel suo mischiare la grandeur zarista al costruttivismo, soprattutto quando si prendono in considerazione tre epoche che delineano il passaggio dalla luce sfolgorante all’inevitabile declino. E poi come non pensare ad una Marienbad lucidata e colorata?
E in merito "Syberia" chissa’ se quell’ultimo quadro con elefanti che potrebbero essere mammuth non siano un volontario omaggio al grande disegnatore francese.
Tutto bello, resta pero’ quel fondo scivoloso che lascia il passaggio di chi "piace alla gente che piace", la compiacenza della solita critica e di una certa platea che con certi registi, a prescindere, vanno in brodo di giuggiole.
Tolto questo nulla d eccepire. Buon divertimento.

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