Si chiude tra gli applausi dei circa 400 spettatori che hanno assistito a “Matrioska”, la rassegna "Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena", il programma in dieci date a cura della QuasiAnonimaProduzioni. Un successo di pubblico oltre ogni previsione al Teatro Savio di Messina, per lo spettacolo scritto e diretto dal direttore artistico Auretta Sterrantino (assistente alla regia Martina Morabito) che, dopo "ProTesto", cambia radicalmente genere e convince pubblico e critica con una scrittura originale, una sorta di partita a scacchi con la (le) verità, densa di rimandi letterari (liberamente ispirata a “Follia” di Patrick McGrath, con suggestioni derivanti dai racconti di Guy de Maupassant, da “Non ti addormentare” di S. J. Watson, da testi e poesie di Hugo, Becket, Baudelaire e Merini).
In scena un “gioco di specchi”, un vortice psicologico che non lascia scampo e risucchia, in un confronto spietato e incalzante di rivelazioni e personalità multiple, tutti i personaggi della pièce, interpretati magistralmente da Alessio Bonaffini, Loredana Bruno, Oreste De Pasquale e Giada Vadalà. In una scenografia ricca di rimandi simbolici, una sorta di proiezione della mente al confine tra realtà e psicosi a cura di Valeria Mendolia (aiuto scenografo Felice De Pasquale, con il tocco riconoscibilissimo del maestro Nino Bruneo, autore del fondale pittorico, si snoda uno spettacolo dai ritmi incalzanti, che propone al pubblico una ricerca spossante declinata in quattro verità e una sola storia.
Le musiche originali, ideate da Filippo La Marca, come un metronomo psico-emotivo dilatano o accelerano il tempo della rappresentazione, scandiscono i passaggi tra piani spaziali ed emotivi e moltiplicano sfumature e possibilità percettive, amplificando o allentando la tensione di una messinscena ritmata come un cuore che pulsa anche contro la nostra volontà.
Nessuno si salva e nessuno è innocente in "Matrioska". Non lo è Stella (Giada Vadalà), la protagonista, costantemente schiacciata tra razionalità e istinto, tra passione e dolorosa apatia, che per sopravvivere a questa lacerante doppiezza frantuma in mille schegge il proprio io, presentandosi sempre con un nome e una storia diversa, incapace di riconoscersi tra mille falsità. Non lo è Victor (Alessio Bonaffini), marito-psichiatra e argine emotivo nel dilagare verso la follia della moglie, l'ancora di salvezza che non salva, semplicemente perché non può salvare, stretto a sua volta tra un doppio ruolo che impone dovere e un risentimento invincibile, come uomo e come padre.
Non lo è Edgar (Oreste De Pasquale), la proiezione mentale dell'amante-artista appassionato, malato e degenere che non abbandona mai Stella. La sua voce la tormenta e la consola sempre, come il suo tentativo di plasmarla, in un abbraccio mortale, a immagine e somiglianza della donna perfetta: muta e fredda come una statua. Non lo è dott. Raphael (Loredana Bruno), l'ultima difesa psichica a cui si aggrappa Stella prima del baratro della verità, la psichiatra che è la sintesi tra lei e il marito a cui si affida in interminabili sedute quotidiane in cui attraversa il limbo dei mille nomi da eroina dei romanzi che si è affibbiata. Ogni volta per nascondere sotto la cenere del proprio senso di colpa un pezzo di verità.
Questo coro di voci dissonanti che si nutre di contrasti e si alimenta di reazioni, lotta contro una verità impossibile da zittire, troppo dolorosa però da sopportare. Quando tutto sembra farsi reale, concreto, effettivo, allora diventa troppo. E si ricomincia da capo.