È pensabile che una città che non riesce a erogare un livello minimo di servizi ai propri cittadini sia in grado di raccogliere sfide ben più complesse come l’organizzazione di un Giubileo o la candidatura alle Olimpiadi? Il quesito è meno banale di quanto possa sembrare: fornire ad esso una risposta esaustiva costituisce una premessa irrinunciabile per poter procedere a un più approfondito esame dell’impatto che i grandi eventi hanno sulla realtà italiana.
La diversa percezione che, ad esempio, si ha delle potenzialità di Roma tra chi determina i processi decisionali, siano essi politici, lobbisti o grandi manager, e la gente comune sottolinea con forza tutto lo scollamento esistente tra due anime del Paese che non riescono più a comunicare. Chi arriva quotidianamente in ritardo al lavoro perché i mezzi pubblici sono al collasso; chi si ritrova le strade invase dai rifiuti perché la raccolta è discontinua; chi osserva ogni giorno il tracollo del decoro e della sicurezza della nostra Capitale non può in alcun modo partecipare all’afflato di entusiasmo che pervade certe élites.
Non si può liquidare un così diffuso scetticismo tacciando i cittadini di vestire i panni dei ‘gufi’ che scommettono contro il rilancio dell’Italia o biasimando la mancanza di coraggio nell’affrontare sfide a livello globale. Anche perché i romani hanno ancora negli occhi i disastri infrastrutturali e contabili dei Mondiali di calcio del 1990 e di quelli di nuoto del 2009 per essere disposti a concedere ulteriore credito. Si può obiettare che c’è pure un esempio virtuoso a cui fare riferimento: i Giochi Olimpici del 1960. Ma va anche detto con forza che né prima né dopo le condizioni generali del Paese sono state altrettanto favorevoli a imbarcarsi in una simile avventura.
Oggi mancano totalmente le premesse economiche e di opportunità per pensare davvero che la corsa alle Olimpiadi possa rappresentare quel volano virtuoso per far cambiare volto a Roma. Si guarda all’esperienza di Londra 2012, ma forse sarebbe più realistico prendere in esame la paurosa china imboccata da Atene e dalla Grecia tutta dopo l’immane sforzo dei Giochi del 2004. Si può seriamente ritenere di poter impensierire un colosso come Parigi quando le nostre metroplitane cadono a pezzi e, contestualmente, si stanno spendendo tre miliardi e mezzo di euro per una linea, quella C, che ricalca il percorso di una ferrovia che poteva essere tranquillamente riqualificata ed efficientata?
Se candidarsi alle Olimpiadi assume i contorni di una decisione incomprensibile e, per certi versi, temeraria, un discorso diverso può essere fatto per il Giubileo. Innanzitutto perché si tratta di un evento che, salvo quando viene proclamato in anni straordinari come in questa occasione, ha una cadenza regolare e vincolante per la nostra città e quindi prevede una tempistica di programmazione meno stringente. Poi in quanto rappresenta un qualcosa di direttamente connesso con la vocazione universalistica della città, con il suo essere centro della cristianità, punto di riferimento morale e religioso. Infine perché, in questa particolare congiuntura, può rivelarsi una fondamentale opportunità di innescare un volano virtuoso a livello economico.
Il che, ovviamente, non toglie che anche l’Anno Santo si profili all’orizzonte come un appuntamento assai insidioso per la città. Roma, al momento, non appare in grado di reggere l’urto dei milioni di fedeli in arrivo nei prossimi mesi, che andranno a sommarsi ai flussi turistici classici e a una quotidianità già estremamente critica per i cittadini. Siamo evidentemente di fronte a una città che non ha margini temporali e di risorse per prepararsi adeguatamente. Ecco perché, di recente, mi sono permesso di lanciare un appello a tutti coloro che possono dare un contributo affinché non si vada incontro a una figuraccia senza precedenti e a un completo tracollo. Professionisti, tecnici, esperti dei vari settori hanno il dovere di mettersi a disposizione per puro spirito di servizio, a titolo gratuito.
Il poco tempo che rimane a disposizione da qui all’apertura del Giubileo deve essere utilizzato per allestire una vera e propria “unità i crisi”, che proceda immediatamente a una mappatura degli interventi di manutenzione più urgenti da realizzare sulle infrastrutture esistenti, abbandonando per il momento qualsiasi velleità di opere di ampio respiro. Le stesse persone dovrebbero poi monitorare durata e qualità degli interventi, in modo da evitare lungaggini e sprechi. Si passi poi ad affrontare in modo risoluto le problematiche dell’abusivismo, del decoro e della sicurezza. E, soprattutto, si sfrutti l’occasione per dare il segnale di essere pronti a un reale cambio di passo: tamponata l’emergenza, c’è bisogno che si elabori finalmente un progetto di città, un’idea della Roma che sarà da qui a dieci-venti anni. Prima dei voli pindarici, assicuriamoci che la quotidianità delle persone non sia più all’insegna della rabbia e della frustrazione.