Titolo: Grandi ustionati
Autore: Paolo Nori
Editore: Marcos y Marcos
Anno: 2012
Vi aspettate un’opera drammatica sulla dolorosa esperienza dei grandi ustionati?
Credete di leggere il tortuoso percorso di guarigione di chi ha rischiato di morire arso vivo durante un incidente d’auto?
Pensate di affrontare la cronaca di giornate trascorse nel reparto asettico di un ospedale?
“Grandi ustionati” di Paolo Nori – che comunque trae spunto dall’esperienza ospedaliera e di dolore occorsa a un grande ustionato - non è niente di tutto questo. Per una serie di motivi.
Primo fra tutti lo stile di questo scrittore originale e contagioso.
“Perché il cervello, non è che te puoi indirizzarlo ove vuoi te, il cervello, che te gli dici Pensa delle cose belle, al cervello, e lui il cervello comincia a pensare a delle cose che ti fanno star bene no, non funziona così. Era bello, se funzionava così, era comodo.”
Una sorta di pittura naif realizzata con pensieri e parole. Con candore e anacoluti. A volte ai limiti del nonsense.
Prendo in prestito da “Così in terra” di Davide Enia (un romanzo che ho letto in questi giorni) il pensiero che mi ha accompagnato durante la lettura di Paolo Nori: “… per scardinare la lingua ci vuole consapevolezza … la conosce così bene da potersi permettere di violarla …”
Un altro motivo di interesse è l’ironia che pervade lo scrivere di Nori: “Per esempio io avevo pensato di prendere Rocco da parte di dirgli Rocco, facciamo un patto; il primo di noi che esce prende l’impegno che entro tre giorni là fuori ne ustiona un altro”. Manzoniana? Pirandelliana? (Sto provocando l’autore, che ampiamente ironizza su chi lo paragona ad altri scrittori).
Ancora, mi ha avvinto il modo personale di rappresentare dialoghi e discorso diretto. Ne scelgo uno, per meglio esprimere cosa intendo:
“Perché hai quella faccia? Mi chiede un’infermiera.
Eh, le dico, adesso Rocco è guarito ormai andrà a casa, io invece chissà quando vado.
Perché, mi dice l’infermiera, che ormai sei guarito anche tu?
No per via del reparto, le dico, che se vado a casa io poi dovete chiudere.
Ma non preoccuparti, mi dice. E’ giugno, la stagione dei barbecue, vedrai che tra qualche giorno si riempie, qua dentro.”
Nel romanzo ci sono almeno due splendidi inserti-divagazione: l’allucinata “Fischiò” e il racconto sul mare (“Al mare, io sono vent’anni che non ci vado, al mare …”)
Infine ho apprezzato l’utilizzo, deliziosamente subdolo, del testo: per criticare i critici, i premi letterari, le case editrici.“Allora Cristina ha chiamato questa scrittrice Federica Ganassi, non si chiama Federica Ganassi, dico Federica così per dire, perché non mi ricordo come si chiama questa scrittrice, di sicuro non Federica Ganassi, che Federica Ganassi è una mia amica che ha un cane bellissimo che si chiama Rocco, proprio come Rocco …”
Un autore contagioso, dicevo. Che questo libro, vero, ha proprio incantato, tanto per dire, be’ per quel che riguarda il libro ma anche il suo autore, così restio ai paragoni e così colto, perfino …
… Bruno Elpis
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