Dietro il progetto Graveyard Tapes si celano Euan McMeeken (Glacis, The Kays Lavelle) e Matthew Collings (Splintered Instruments), i quali, per la realizzazione di alcuni degli episodi inclusi in White Rooms si sono avvalsi della collaborazione di Ben Chatwin e William Ryan Fritch (violoncello). I musicisti coinvolti nel progetto hanno optato per una scarna semplicità, fatta di note distanti che raramente si intrecciano le une con le altre, creando contrasti cromatici simili a quelli dei Radiohead. La fragilità delle linee vocali offerte da McMeeken ricorda il lento posarsi delle foglie autunnali sul terreno. L’albero si spoglia e impara a sopportare la solitudine. Ne risulta un album che pare essere concepito per accompagnare quei momenti in cui si sente la necessità di contemplare il silenzio. In un certo senso manca di sostanza, ma si tratta di una scelta precisa, frutto d’improvvisazioni che nel loro essere poco avventurose ritrovano la propria essenza sperimentale. Forse è qui che ci si può avvalere del termine pop, non nella sua accezione denigratoria, bensì in quella più ampia di musica destratificata. È come aprire un pacco e scoprire che ad avere importanza non è il contenuto, ma chi ce ne ha fatto dono. E nella vita è proprio così.
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