L’amministrazione, dice la legge, deve pagargli i due terzi del salario dovuto in base alla sua mansione.la Costituzione “riconosce e tutela un diritto che riguarda tutti i lavoratori, senza operare discriminazioni nei confronti di quelli detenuti”. Come pure l’articolo 22 dell’ordinamento penitenziario riconosce al detenuto lavoratore “una retribuzione che gli consenta un tenore di vita decoroso, non inferiore ai due terzi della retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa categoria dal contratto nazionale in vigore al tempo dell’avvenuta prestazione lavorativa”.
Grazianeddu non è il primo a muoversi in questo senso, già anni fa un altro detenuto sardo Giovanni Carta, tornato in libertà a si era rivolto all’associazione Casa dei Diritti perché il suo salario, guadagnato col lavoro di falegname svolto in carcere, non era stato mai adeguato al contratto nazionale di lavoro.