Magazine Diario personale

“Grazie di esistere”

Creato il 21 gennaio 2013 da Povna @povna

Bosco dei Merry Men, quinta ora e (per loro) ultima. La ‘povna termina il giro di interrogazioni di italiano (acquisendo così in data 17 gennaio il nono voto per il quadrimestre) ascoltando Grande Giovanni, che è arrivato da poco.
Un gruppo, intanto, verifica la differenziata (che oggi è il giorno); gli altri leggono il libro nuovo. Weber no, lui ascolta. Perché italiano gli piace, e perché Grande Giovanni viene diretto dallo Scientifico, ma ha una certa verve umanistica e, dunque pare in grado di scalzare, con soave leggerezza, il suo primato, acquisito nel corso di due anni, nelle materie letterarie. Così, al primo “ehm” durante il suo discorso, si inserisce, e butta là la risposta. Suscitando le ire della ‘povna che queste cose non le tollera.
“Weber, taci. Lascia pensare il tuo compagno. Facendo il saputo in questo modo non fai onore a te stesso. E nemmeno poi lo aiuti”.
Weber bofonchia, abbassa la testa. Si controlla per cinque minuti, e poi ricomincia. Questa volta seguito da Earnest, che, nel tentativo di acquisire una visibilità di gruppo, si dedica spesso alla nobile arte del pappagallo, in coda a quello o a questo leader.
“Ora basta” – esplode la ‘povna – “se non vi sapete contenere, fatevi un giro fuori, va’, che è meglio”. E li spedisce alla cattedra esterna.
“A porta aperta?” – domanda Weber speranzoso, perché starebbe a significare che non deve rinunciare alla lezione, e la punizione è solo mezza.
“No, no, a porta chiusa”.
La ‘povna approfitta del quarto d’ora seguente per dare modo a Grande Giovanni di sudarsi il meritato 8. Poi prende il registro, sorride perfida. Afferra la penna e scrive.
“Fai rientrare i due reprobi, Cirillo Skizzo”.
“Bene miei cari, prendete il diario, e venite alla cattedra. Copiate questa frase in bella”. Si tratta di un periodo di tre righe abbondanti, nel quale si riassume, come un pensum, il motivo del contendere. E l’invito per entrambi a piantarla di salmodiare come tanti secchioncelli, quando non è di loro competenza, la lezione”.
“La portate copiata venti volte, firmata dalla mamma”.
“Ma è lunga, professoressa!”
“Certo, l’ho pensata apposta” – ribatte con un sorriso la ‘povna.
Poi chiama Weber alla lavagna per scrivere gli schemi con l’odiato gesso (ché lei, infortunata dal ritorno dalle vacanze, non vi si può nemmeno avvicinare, pena una crisi d’asma) e ricomincia la spiegazione.
Il giorno seguente, stesso posto, stessa ora, la ‘povna arriva in classe. Earnest si è ammalato, ma Weber è già alla cattedra.
“Ecco qua, prof.” – con gli occhi che gli ridono.
“Che cosa…”.
Ma la risposta arriva, vergata in penna blu, in fondo alla pagina.
“Professoresse come lei dovrebbero esserci in ogni materia e in ogni classe. Grazie per quello che fa per mio figlio, continui così, grazie di esistere”.
Segue la firma della mamma di Weber, con la sua bella scrittura tonda.
La ‘povna ride, poi sorride, poi: “Mi dai una penna?”.
Weber è già pronto.
“Grazie a lei per la collaborazione e i continui scambi: così insegnare è per tutti una ricchezza. Un saluto e a presto”.
“Lo sapevo” – Weber interloquisce, tornando al posto – “adesso la mia mamma le risponde, e via così fino a giugno. E io qui a far da postino”.


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