Più volte mi sono trovata a ribadire su queste pagine il mio pensiero: la dispersione di tessuto sociale, che via via si fa più profonda e preoccupante nelle nostre città – nelle quali viviamo tutti sempre più rintanati in famiglie ristrette – è prima di tutto una perdita di risorse pedagogiche.
Siamo animali sociali, noi come i nostri bambini, e nel confronto continuo con esperienze e voci diverse cresciamo, impariamo, ci educhiamo all’ascolto, alla rielaborazione personale e critica di insegnamenti ed esempi.
Senza una molteplicità di punti di vista che faccia luce su questo e l’altro aspetto di un evento per trarvi un suggerimento più generale – emotivo, morale –grazie al quale un domani orientare lo sguardo sui nuovi accadimenti per affrontarli con una maggiore consapevolezza, modulata sulla sensibilità, è più difficile una crescita aperta, consapevole, capace di mediare, di includere apparenti contraddizioni in un mosaico composito e ricco.
Il rischio è quello di diventare persone rigide, imbalsamate in statici punti di vista che non sappiano adeguarsi alla dinamicità e varietà della vita.
Proprio questa riflessione è stata la causa di una sottilissima vena malinconica cui ho ceduto durante la lettura del vivo e profondo albo “Grazie!” di Isabel Minhos Martin e Bernardo Carvalho.
Pensiero che comunque non mi ha impedito di godere dell’intima poesia delle pagine, della ridente e gaia armonia delle figure le quali, pur con tinte nette e gioiose, rivelano un’anima domestica e affettiva, calda e accogliente.
Un flusso di coscienza d’infanzia che si allunga tra le pagine con il correre d’un trafiletto e benevolmente riepiloga gli insegnamenti appresi dal protagonista dall’interazione con le persone che lo accopagnano– o lo hanno accompagnato – nel cammino di tutti i giorni.
Non si comprende da subito se si tratta di uno sguardo verso il passato di un ragazzo che è cresciuto o di una rielaborazione in atto da parte di un’anima ancor giovane ma già in parte saggia. O comunque già in grado di compiere il passaggio dall’egocentrismo dell’infanzia all’abbraccio di vedute tipico – o almeno auspicabile – in età successive.Certo è che sono piccole o grandi indicazioni dall’eco esistenziale, la cui sensibile combinazione sarà al bambino utile per modulare il suo sguardo su ciò che gli accade e gli accadrà.
Ci sono così un papà e una mamma, un nonno, una nonna ma anche un vicina, una zia, l’autista dello scuolabus, l’ambiente della scuola, un fratello maggiore, un cugino, un negoziante, la madrina…
Ciascuno è portatore di un punto di vista e fa sì che, dall’incontro con esso, il giovanissimo protagonista tragga una riflessione, un insegnamento, un’esperienza che nelle rielaborazione si fa bagaglio.La quantità degli spunti è ricca e profonda, traccia una mappa sulla quale è la sensibilità d’animo e di sguardo a fare da bussola e nella quale è riconosciuta sia la dimensione dei doveri che quella dei piaceri, sia gli stati d’animo che gli slanci, sia il bisogno di controllarsi che l’istinto di libertà.
Saper essere pazienti ma anche cogliere l’attimo, essere in grado di rischiare ma anche trattenersi dai guai, avere la costanza della fatica senza dimenticare il piacere della leggerezza, ascoltare e stare in silenzio….in una parola avere gli strumenti per discernere i momenti e offrire loro risposte e comportamenti aperti.
Il gioco dell’accostamento delle frasi nella doppia pagina – una destra e una sinistra – punta sul guizzo della contraddizione.
Se in effetti si volesse leggere il testo verbale tutto di seguito senza guardare le figure si avrebbe l’impressione di un elenco suggestivo ma freddo, sicuramente poco impressivo.
E’ nel momento in cui le parole si sposano con le immagini che il quadro si accende di significato. Perché ogni esperienza è un incontro, nel tempo e nello spazio, e ciascun insegnamento ha seme e radice.
Ciò che orienta il nostro sguardo sulla realtà, per essere sentito, deve ancorarsi ad un vissuto vivo e affettivo.
Le illustrazioni infatti mostrano, con una composizione di tipo fotografico – come tante istantanee in successione – scene di vita del bambino protagonista che conferiscono senso e valore sll’insegnamento che il testo sotto riporta.
L’incontro e l’esperienza sono nell’attimo, nel qui e ora. La rielaborazione emotiva può essere per sempre.
Non sempre il sentimento del piccolo protagonista è lieto. A volte gli angoli delle sua bocca si piegano verso il basso, quando c’è da esercitare la pazienza o vivere una sconfitta. Altre invece occhi e corpo sono ridenti, come quando addenta la mela appena colta, vince la partita con la squadra di amici o sperimenta l’eccitazione, tutta vibrante, di una discesa folle con la bicicletta.
La sensazione che ne deriva è di forte autenticità: pare quasi di viverle quelle emozioni rappresentate e che, forse, molti bambini conoscono bene, sia quando raccontano un senso di libertà e leggerezza, sia quando impongono un certo rigore e chiamano al controllo di sé.
Ecco che le parole quindi invitano alla riflessione, al passo in più che procede da un’esperienza nota e la mostra da un punto di vista diverso. Si badi bene: non c’è nulla di didascalico in quest’albo perché, di fatto, non c’è nulla che vuole essere insegnato, se non uno sguardo.
Nessuno sta dicendo al bambino che legge come deve comportarsi, bensì gli sta mostrando la varietà e l’armonia degli apprendimenti che il confronto con gli altri può offrire. Il piccolo che legge, empatizzando, nota che quelle esperienze riguardano anche lui e sente l’autenticità delle riflessioni e il loro valore.
Il grazie finale non ha la valenza di un freddo tributo di riconoscenza ma ha il portato della gioia di un arricchimento riconosciuto. Che poi questo possa essere un verosimile pensiero infantile non saprei dirlo. Forse è più corretto intenderlo come un invito, molto dolce e rispettoso, che gli autori rivolgono al piccolo lettore qualora questi, sull’onda emotiva del libro, ripensi – come accadrà – alle figure della sua vita e alla loro importanza nella sua crescita.
E’ un grazie corale, universale. Grazie perché non siamo soli, grazie perché la nostra crescita è accompagnata dalla varietà e di questa varietà è espressione.
Mi viene da sorridere amaramente se penso a quei genitori che vorrebbero controllare tutte le opinioni con le quali i propri figli si trovano a confrontarsi per uniformarle alle proprie. In tal modo, temo, non cresceranno figli coerenti ma figli incapaci di armonizzare la diversità nella propria vita. Inoltre così comportandosi danno ben poca fiducia alla capacità di rielaborazione dei bambini che prima ancora di esseri piccoli sono esseri pensanti.
Altro particolare che ho notato – molto coerente e azzeccato in un albo che, di fatto, parla del fluire della vita – è la caratterizzazione del tempo ciclico, quello delle stagioni per intenderci.
Ogni tavola è caratterizzata e facilmente potremmo inquadrarla nella verdeggiante primavera, nell’estate luminosa oppure nel rosseggiare d’autunno.
Il metasignificato è che inanellando momenti passa il tempo, lento ma inesorabile, che porta alla crescita. Diventando grandi ciò che resta sono i momenti condivisi con le persone importanti, che hanno, in un modo o nell’altro, infuso qualcosa di loro in noi. E’ così che l’album di fotografie diventa significativo e sfogliarlo è riscostruire, lungo tutti i passaggi, il perché e il come di ciò che siamo diventati o stiamo diventando.
(età consigliata: dai 5 anni)