Great Britain

Creato il 16 giugno 2013 da Theartship

Jeremy Deller. English Magic

di Marco Scotti

#Williams Fairey Brass Band – Voodoo Ray

 Cosa significa rappresentare la propria nazione all’interno di un padiglione alla Biennale di Venezia? Un dibattito che storicamente accompagna la Biennale stessa ma che tuttavia ritrova in fondo nell’eterogeneità l’unica chiave di lettura attraverso le partecipazioni nazionali in questa 55 edizione. Edizione in cui il tema scelto dal curatore rimane nei confini dell’Arsenale e delll’ex-Padiglione Italia e a cui sono ammesse – come ogni anno – tutte le nazioni riconosciute dal governo italiano, mentre gli spazi – diffusi in tutta la città per ospitare tutti gli esclusi dal sistema dei giardini – si presentano non solo ognuno con una propria identità ma con un diverso concetto e idea del padiglione stesso e di una rappresentanza nazionale. Solo un approfondimento monografico può probabilmente restituire la complessità di alcune ricerche: il caso della Gran Bretagna è particolarmente significativo, ad esempio, nel suo mettere in scena una molteplicità di approcci e progetti perfettamente riconducibili all’interno di un’unica ricerca. Attraverso un plot narrativo distribuito in cinque parti, una per ogni stanza, il lavoro affidato a Jeremy Deller, a cura di Emma Gifford-Mead, riprende un modello espositivo su cui l’artista aveva già lavorato con la grande monografica[1] presentata alla Hayward Gallery di Londra, proponendo una molteplicità di linguaggi e interventi.

Una delle radici di questa ricerca è rintracciabile nell’impressionante lavoro riportato dal libro Folk Archive[2], testimonianza di un progetto espositivo itinerante realizzato da Deller insieme a Alan Kane nel 2005 a partire dalle collezioni di oggetti e fotografie degli stessi artisti, come risposta alle celebrazioni corporate del Millenium Dome nella Londra del Giubileo. La prospettiva è tuttavia consapevolmente distante dalle definizioni di outsider art, una delle parole che più ritorna nelle letture del percorso espositivo di Gioni in questa Biennale. All’interno di questa selezione del tutto personale gli artisti di questa folk art, che  non si definirebbero neppure aritsti probabilmente ma piuttosto condividono alcune qualità nella loro produzione, raccontano la Gran Bretagna contemporanea all’interno di un percorso tra arte e antropologia: come ricordano Deller e Kane “our artists are mostly quite clear on how their work will be read”[3], non c’è spazio per la difesa di un’ambiguità dell’arte ma piuttosto per una decisa riflessione intorno al ruolo dell’artista.

Allo stesso tempo all’interno di English Magic l’idea di magia introdotta richiama per l’artista una certa qualità mitologica della cultura popolare, particolarmente per quello che riguarda la musica[4], uno dei riferimenti ricorrenti nel lavoro di Deller che si è occupato di gruppi quali Manic Street Preachers e Depeche Mode, ed in particolare della loro ricezione  e impatto culturale, ha fatto reinterpretate classici della acid house da una brass band e qui, nell’ultima stanza, ha ricostruito le tappe del tour di David Bowie/Ziggy Stardust del 1973, attraverso fotografie degli spettatori e una impressionante mappa realizzata da Scott King, la cui melancolia[5] è effetto di una rappresentazione storica e accurata di dati reali e che al di là del dato formale rimanda a un’impossibile ricostruzione di un contesto politico e sociale. Contesto richiamato direttamente nel racconto, attraverso immagini e date che riportano l’attenzione sui contemporanei scioperi, proteste, crisi economiche e bombe dell’IRA. Come non seguire la tesi di Deller, che ricostruisce questo tour come una realtà alternativa per i giovani dei primi anni Settanta?

Proprio questo può offrire una prima chiave di lettura: il padiglione si presenta come un lavoro assolutamente politico, dalla prima sala in cui un’immaginaria rivolta del 2017 viene inscenata nel paradiso fiscale di St. Helier, Jersey, attraverso i grandi dipinti murali di Stuart Sam Hughes e i banner di Ed Hall, elemento ricorrente in diversi progetti dell’artista, oppure in cui un’albanella, raro uccello rapace, si vendica su una Range Rover di passaggio dopo lo scandalo di Sandrigham Estate in cui il Principe Harry era sospettato di averne abbattuto una coppia. La dimensione fantastica è sovrapposta alla ricostruzione storica, i riferimenti anche interni tra autori e linguaggi sono continui – ad esempio all’ingresso troviamo altri due stendardi di Ed Hall, che riportano alcune frasi da The Man Who Sold the World di David Bowie – e da una sala all’altra assistiamo alla rivolta di William Morris contro Roman Abramovic e il suo yacht ancorato in laguna per assistere alla Biennale, mentre sulle pareti e sul testo in catalogo una ricostruzione attraverso documenti della situazione economica russa al momento della presa del potere da parte degli oligarchi è esposta a fianco di lavori dello stesso Morris, socialista e designer.

La fascinazione dell’artista per alcuni elementi preistorici, in una declinazione quasi spirituale, qui porta all’interno del percorso espositivo diverse hand axes ritrovate nella valle del Tamigi, e in particolare in occasione della costruzione degli stabilimenti della casa discografica EMI, che potranno indicare percorsi e addirittura essere prese in mano. Il sistema di rimandi e riferimenti si fa sempre più complesso con il procedere della narrazione, rivolgendosi tanto alle ricerche precedenti di Jeremy Deller quanto a un discorso interno perfettamente chiuso e coerente, che tuttavia di volta in volta riporta fianco a fianco elementi fantastici, immaginari o semplicemente appartenenti a un differente ambito culturale. Impossibile non valutare quindi un discorso autoriale che consideri le modalità di collaborazione e gli artisti che al fianco di Deller hanno contribuito a varie parti della sua rappresentazione. La terza stanza / capitolo è paradigmatica, ripartendo da alcune fotografie di Harrowdown Hill, luogo del suicidio dello scienziato David Kelly[6], per una riflessione sulla guerra in Iraq che già ha occupato diversi lavori dell’artista, in particolare It Is What It Is: Conversations About Iraq del 2009, un tour in diversi luoghi – a partire dal New Museum di New York – che metteva in scena conversazioni e incontri multidisciplinari sul tema, a fianco di un’installazione consistente nei resti di una macchina distrutta in un attentato avvenuto nel 2007 a Baghdad, lungo Al-Mutanabbi Street. Ma qui la rappresentazione della guerra e dei protagonisti politici connessi alla vicenda è affidata esclusivamente a disegni realizzati da carcerati in gran parte reduci dalle campagne in Iraq e Afghanistan.

Al film English Magic, proiettato nella quarta sala, il compito quindi di riportare insieme le idee presentate in un lungo racconto attraverso immagini dall’impatto visivo , mentre la Melodians Steel Orchestra interpreta negli studi di Abbey Road (e dal vivo in alcuni momenti delle giornate di apertura) un classico della acid house come Voodoo Ray di A Guy Called Gerald, insieme a The Man Who Sold the World di Bowie e una sinfonia di Ralph Vaughan Williams. In questo equilibrio tra narrazione e ricerca stilistica, rimane perfettta la definizione che ha dato lo stesso Jeremy Deller del suo progetto, un museo personale della storia della nazione[7]. E sul retro del padiglione si può sempre fermarsi per una pausa davanti a un te,  Earl Grey o English Breakfast.



[1]   Joy in People. Jeremy Deller, Hayward Publishing, London, 2012.

[2]   Jeremy Deller, Alan Kane, Folk Archive, Book Works, London, 2008.

[3]   op. cit., p. 2

[4]   Hal Foster, History is a Hen Harrier, in Jeremy Deller. English Magic, British Council, London, 2013, p. 7

[5]   Scott King, Finish The Work That You’ve Started” at Herald St, London, “Mousse”,  Giugno 2012

[6]   Un lavoro, mai realizzato, dedicato alla figura di David Kelly è esposto nel museo MoRE http://moremuseum.wordpress.com/jeremy-deller-fourth-plinth-proposals/

[7]   Charlotte Higgins, Jeremy Deller shows a ‘wistfully aggressive’ Britain at Venice Biennale, “Guardian”, Tuesday 8th May, http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2013/may/28/jeremy-deller-britain-venice-biennale


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