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Grecia, esame di storia

Creato il 18 giugno 2012 da Albertocapece

Grecia, esame di storiaAnna Lombroso per il Simplicissimus  

Se soltanto si imparasse dalla battaglie degli altri, se solo si imparasse dalle sconfitte, se si imparasse per essere artefici del proprio destino, se solo si imparasse la bellezza di essere combattenti e non vittime designate, allora gli italiani dovrebbero imporre le elezioni, quello che resta della sinistra  dovrebbe rivendicare la sua origine, la sua storia,  la  parte dalla quale vuole stare, che è quella giusta, il codardo e amorfo centro sinistra dovrebbe far pulizia del suo disordinato attaccamento alla pura sopravvivenza e schierarsi a fianco dei cittadini.

Perché  è vero che ha vinto quella finzione di democrazia,   dove col voto,  invece di compiere una scelta, la gente si limita a confermare quello che  altri  diranno loro di fare. Ma la forza di opposizione è viva e combattiva. Perché è vero che ha vinto la paura del cambiamento di rotta, che fa preferire un orrendo presente a un difficile ma fervido “altro”, sconosciuto ma vitale e potente. Però è anche vero che la Grecia ha saputo mettere paura ai poteri rapaci, quelli che amano i poveri purchè impotenti, purchè vittime, purchè piegati e oltraggiati, purchè passivi e umili. Allora concedono loro una pelosa carità, dilazioni nei pagamenti come strozzini soddisfatti dei loro compiacenti taglieggiati. All’establishment finanziario europeo e sovraregionale piace trattare da criminale il clientelismo greco, accusarlo esporto al ludibrio planetario, per poi puntare sulla coalizione di quelli che proprio tramite la corruzione, l’inazione, il malaffare e l’incompetenza hanno determinato l’ineluttabilità della rovina. Non gli piace la gente, non gli piacciono gli stati, non gli piace la cittadinanza attiva  che resiste, lotta, che non vuole  comprensione e carità, ma esige libertà e autodeterminazione.

Per quello hanno avuto paura, una paura maledetta che un popolo mettesse in discussione la scelta indiscutibile della necessità, l’inevitabilità di  misure  imposte da una logica economica  partigiana, quella del loro profitto. Certo, dicono, non si può spendere più di quello che si produce. Eppure le banche  a cominciare da quelle americane da dove è partito e ha cominciato a circolare l’empio disastro, sono la  prova evidente che si può spendere più di quello che si produce. Allora l’austerità, il rigore sono solo una teologia e una liturgia per punire e avvilire stati, popoli e democrazie.

Per illustrare l’errore delle misure di austerità, Paul Krugman usa una metafora, paragonandole alla pratica medievale del salasso. I medici  europei   che hanno usato i greci come cavie da laboratorio e si apprestano a usare noi, stanno rischiando il nostro sangue, non il sangue dei loro paesi e delle loro banche, che al contrario godono di  grandi trasfusioni.

Per quello i greci gli avevano messo una gran paura, perché la democrazia proprio là dove è nata mette loro un grande spavento, rovescia il tavolo del loro gioco d’azzardo, impone elezioni laddove loro preferiscono incarichi concesso dall’altro, vuole cambiare le regole e chiede negoziato laddove loro decretano e comandano.

Si prova un grande dolore per l’affermazione della coalizione della finta democrazia, ma non tutto è perduto. In Grecia. E potrebbe non esserlo anche da noi se decidessimo che quella greca è la nostra battaglia. Una forte opposizione dentro e di tutti gli Stati a rischio può agire e dettare regole nuove, in modo che la paura  del  default disordinato sia più loro che nostra.   In modo che l’incertezza indebolisca il loro disegno di sopraffazione di ogni diritto e libertà, invece rafforzi la nostra determinazione a riappropriarcene.

Ancora una volta il nostro Papademos ha confermato che è stato collocato là dov’è  senza il nostro consenso e  il nostro mandato, per toglierci con i diritti del lavoro anche il lavoro, per svendere le ricchezze pubbliche, per affermare l’egemonia del profitto proprietario sull’interesse generale. È ora di mettergli paura, il loro spavento è il nostro riscatto.

 


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