Magazine Politica

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento

Creato il 22 febbraio 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

di Filip Stefanović

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimentoNel giugno dell’anno scorso, su queste pagine, dicevamo fondamentalmente due cose: 1) un default greco sarebbe stato inevitabile, e 2) l’Italia avrebbe fatto bene a guardarsi in casa. Non che fosse più una previsione difficile a quei tempi, ma avevamo ragione.

Nella notte tra lunedì e martedì, dopo 14 ore di discussione, l’Eurogruppo annunciava il via libera all’ennesimo pacchetto di aiuti per la Grecia, 130 miliardi di euro da qui al 2014, col vincolo per il paese ellenico di riportare il suo debito pubblico al 120,5% per il 2020, dall’attuale 163% – obiettivo che trasuda candido ottimismo.

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento
Facciamo un breve riepilogo. Nel maggio 2010, UE e FMI stanziano 110 miliardi per la Grecia, più altri 130 miliardi il 26 ottobre 2011, e poi il bis da 130 miliardi di oggi. A questi va ancora sommato il haircut sui titoli di stato ellenici, pattuito sempre il 20 febbraio 2012 al 53,5%, oltre ad una rinegoziazione della quota rimasta tramite l’emissione di titoli sostitutivi per gli attuali detentori, a interessi che si aggirano tra il 2 e il 4,3% al 2020, di fatto tagliando il valore attuale delle obbligazioni di un buon 75%, che stimiamo a spanne in altri 150 miliardi. Totale: 530 miliardi di euro, e nessuna garanzia che la Grecia sopravviva al 2012. Da questa prospettiva, il default greco in atto, truccato come parziale e pilotato, appare più come una silenziosa messa in mare del cadavere ellenico, avvolto in un lenzuolo per non turbare la stoica calma di chi rimane sulla nave Europa, mentre ci si appresta alla meglio a fronteggiare l’epidemia di peste che dilaga a bordo. Si prende insomma tempo per innalzare quella porta tagliafuoco, quel firewall sufficiente a garantire che l’incendio ateniese si consumi da solo, spegnendosi nelle acque del Mediterraneo.

A farmi optare per questa ipotesi, sono alcune considerazioni: 1) l’oggettiva impossibilità della European Financial Stability Facility (EFSF) prima, e del European Stability Mechanism (ESM) che subentrerà da luglio prossimo, di garantire la salvezza di euro membri in crisi (i 500 miliardi alla Grecia sono noccioline rispetto a quanto occorrerebbe per Italia, Spagna e Portogallo); 2) l’istituzione di un fondo greco ad hoc, controllato a vista dalla troika (FMI, UE, BCE), nel quale verranno versati i fondi rilasciati alla Grecia per un importo pari a un quarto degli interessi dovuti sul debito, e che non potranno essere usati per le spese fiscali correnti, dagli stipendi pubblici alle pensioni, ma solo per il servizio del debito, ovvero per il pagamento degli interessi ai creditori (in larga parte esteri): una misura che appare forte e eccessivamente strumentale anche agli occhi di un cinico realista; 3) la totale mancanza di considerazione per l’ipotesi di una sostanziale cancellazione del debito ellenico. Vediamo di spiegare questi punti nel dettaglio.

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento
La European Financial Stability Facility, più comunemente nota come “Fondo salva-stati”, è nata per il consenso di 17 paesi dell’Unione europea per garantire un supporto ai paesi membri che si trovassero in difficoltà. L’EFSF è sì garantito per 780 miliardi di euro, ma non dispone di fondi propri: esso emette semplicemente titoli obbligazionari, reputati solidi, che vengono scambiati sui mercati primari e secondari di tutto il mondo. Con la liquidità raccolta a fronte, finanzia gli stati bisognosi. Il problema è che, garantita dagli stati europei stessi, nel caso di declassamento di questi ultimi anche l’EFSF aumenta in rischiosità, e può venire declassata a sua volta (cosa che è in effetti avvenuta, da parte di Standard&Poor’s, in seguito ai declassamenti a catena dei paesi europei, dalla Francia in giù, a gennaio), aumentando quindi il costo di finanziamento, e pertanto il costo d’aiuto per i singoli stati. Per questo, il 2 febbraio 2012, 17 paesi hanno siglato l’istituzione di un vero e proprio fondo di 500 miliardi di euro (e per il quale si ipotizza un ulteriore allargamento), denominato European Stability Mechanism (ESM), che dovrebbe servire allo stesso scopo. Il problema è che per i paesi che si avvalessero dell’ESM, l’ESM, per statuto, scavalcherebbe come creditore i privati, ossia avrebbe diritto ad avvalersi per primo dei successivi rimborsi, inducendo paradossalmente ad un acuirsi della difficoltà per il paese in crisi di rastrellare liquidità sui mercati comuni, ed un aumento della speculazione sui credit-default swap nei mercati non regolamentati. Inoltre, molto banalmente, il fondo potrebbe risultare insufficiente, anzi, in casi come quello italiano lo sarebbe senz’altro.

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento
Il secondo punto parla da solo, e dà chiaramente l’idea delle finalità che guidano il piano di salvataggio greco, e l’ordine di importanza dato ai diversi portatori d’interessi: l’esposizione delle banche elleniche al debito del proprio stato ammonta a 60 miliardi di euro, ed è questo un dato che non va dimenticato quando si parla dei creditori, ma è veramente difficile non sottolineare che la Banca centrale europea, Francia e Germania detengono complessivamente altri 152 miliardi, due volte e mezzo tanto (rispettivamente, 65, 53 e 34mld), mentre la percentuale di debito greco detenuta dai paesi occidentali più Fondo monetario internazionale corre veloce verso quota 100% del Pil, financo a sfondarla. Dire che tutelare gli interessi dei creditori significa tutelare i greci stessi può essere vero, ma non comporta affatto che sia stato questo l’ordine di priorità. Inoltre, non è detto che la politica di smantellamento della rete di sicurezza sociale greca, brutale e inefficace prima ancora che in un’ottica etica in quella fredda di rilancio dell’economia reale, non si riveli cura peggiore del malanno.

Infine, terzo punto, è molto difficile ipotizzare che un paese sommerso da un rapporto debito/PIL del 163% possa trovare alcuna via di crescita non dico per ridurre tale debito, ma anche solo per fermare il deficit primario (al netto dei tassi d’interesse), quando ancora nel 2011 il Pil crollava del 7%; un circolo vizioso di tagli per riportare il pareggio di bilancio e al contempo entrate in caduta libera, in una congiuntura europea e internazionale assolutamente sfavorevole e una moneta unica non svalutabile, sia al fine di incentivare le esportazioni (turistiche, perlopiù) che per annacquare il debito. Per quanto si possa accettare l’idea che presso il FMI siedano gelidi androidi imbevuti di modelli neoclassici, si fa molta più fatica a credere che essi abbiano un’idea così grossolana dell’unica cura possibile per salvare lo stato ellenico, piuttosto che quella che i creditori (ovvero, anche loro stessi) vadano sempre tutelati, contro ogni ragionevole limite ed in un accanimento terapeutico improntato a spremere fin l’ultima stilla di sangue da una rapa che non ne vuole più sapere.

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento
Stabilito il ruolo degli agenti esterni, bisogna però sottolineare un altro aspetto, interno alla Grecia, e ben analizzato da Francesco Daveri in un recente articolo de lavoce.info: l’economia greca è statica e povera, e lo è sempre stata, se si esclude una breve parentesi nel decennio 1998-2008. In quasi trent’anni, dal 1970 al 1997, il Pil procapite greco è cresciuto di un misero 1% annuo, perciò di circa il 30% nell’arco di un trentennio. Per capire quanto la cifra sia irrisoria, basti confrontare la crescita degli altri paesi, oggi etichettati come PIGS, nello stesso arco di tempo: 95% per Spagna e Italia, 120% per il Portogallo. A partire dal 1997, una spesa pubblica gonfiata e galvanizzata dall’assegnazione delle Olimpiadi del 2004, e l’ingresso nel club della moneta unica, che taglia improvvisamente gli interessi per i greci dando un’ulteriore spinta agli investimenti, portano il paese a una crescita del 3% annuo, insperata forse, ma facilmente spiegabile grazie ai due fattori appena accennati. Questa fase di crescita non viene però sfruttata dai governi in carica per un reale ammodernamento del mercato del lavoro, per un lungimirante investimento a lungo termine in ricerca e sviluppo di nuovi settori industriali competitivi, per una stretta sull’economia in nero e sull’evasione fiscale (mancanze, del resto, constatabili anche nel nostro paese, prima e negli stessi anni). Ciò comporta che la crisi del 2008 colpisce, e colpisce duro. Il seguito, è cronaca.

Questo dovrebbe far comprendere che un’eventuale uscita dall’Euro, o anche dall’Unione europea tout court, sarebbe una mossa che non porterebbe probabilmente a un reale sollevamento, nemmeno nel medio periodo, delle condizioni di Atene: nella migliore delle ipotesi, la Grecia potrebbe sperare di tornare a una crescita quasi nulla, che se appariva povera prima, risulterebbe misera e inaccettabile agli occhi di chi ha vissuto dieci anni di espansione ininterrotta, quella che piuttosto banalmente viene oggi etichettata come “sopra le proprie possibilità”.

GRECIA: L’insostenibile leggerezza del fallimento
Eppure è proprio su questi temi che i partiti più estremi, a sinistra come a destra, puntano per catalizzare (e pare con successo) i consensi alle vicinissime elezioni di aprile: sia Néa Dimokratía (centrodestra) che PASOK (coalizione di centrosinistra) appaiono troppo deboli per poter formare maggioranze esclusive delle correnti più estreme, dai comunisti, alla sinistra radicale (Syriza), agli ultranazionalisti di Laos. Tutti movimenti populisti che spingerebbero a gran voce verso un’inversione di rotta, ed un ritorno alla Dracma.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :