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di Maria Teresa Merlino. Dopo la grande crisi finanziaria del 2007/2008 molti degli economisti della concezione neoclassica, della cosiddetta mainstream, hanno dovuto ricredersi sul concetto di economia pura secondo la quale “tutti gli individui si comportano sempre allo stesso modo nel tentativo di ottimizzare il proprio benessere materiale, mentre il mercato è in grado di mantenere un equilibrio tra domanda e offerta dei beni, a meno che non sia disturbato da uno shock esterno”. Lo shock è arrivato, invece, ma dall’interno del sistema stesso. Il capitalismo, infatti, sta soffrendo momenti di estrema vulnerabilità (si alternano crescita e recessione) a causa di un sistema finanziario che ha superato il suo ruolo tradizionale di appoggio all’economia reale e che, mettendo in circolazione una grande entità di titoli finanziari e di prodotti innovativi, ha esposto e continua ad esporre a gravi rischi i mercati occidentali. La finanza è diventata, in tal modo, una macchina gigantesca con movimenti impossibili da controllare e in grado di decidere le sorti di intere nazioni. Ed è la causa principale del crollo del sistema capitalistico tradizionale e della crisi dell’economia mondiale, tanto da impegnare ricercatori ed economisti nello studio di nuove strategie da adottare per giungere ad attivare un nuovo tipo di economia, che inneschi a sua volta nuovi processi economici. Siamo dunque ad un momento di svolta. I policy maker sono fortemente concentrati sullo studio di un sistema in cui si possa coniugare: “prosperità, stabilità economica, giustizia sociale e utilizzo intelligente delle risorse” per giungere ad un nuovo “New Deal” denominato già “grande transizione”. Una sorta di Terza Rivoluzione Industriale. Il Nef, di cui si è accennato sopra, è uno dei tanti Istituti di Ricerca al mondo che si occupa di queste tematiche già dal 1986. Alla base di queste ricerche non c’è esclusivamente la finanza come fattore determinante degli shock dei mercati, seppure essa dovrebbe ritornare al suo ruolo principale di sostegno ai sistemi produttivi, ma sotto analisi vi sono anche altre questioni: la prima concerne la produzione e distribuzione di energia che oggi riguarda tre risorse, gas-petrolio-carbone, tutte destinate ad esaurirsi nel giro di pochi decenni. Il secondo tema fondamentale è l’inquinamento, che ha superato i livelli massimi di sopportazione del pianeta e che sta stravolgendo l’ecosistema e quindi il clima. La questione ambientale è diventata, infatti, centrale nei dibattiti degli esperti del settore e degli economisti. Non per altro si parla di economia della sostenibilità che include diversi temi: giustizia sociale, sviluppo territoriale, finanza alternativa etc. Siamo entrati ormai nell’epoca della Green Economy, la quale aspira ad un’imponente trasformazione, che coniughi da un lato il mantenimento del benessere individuale legato al consumo di beni materiali e, allo stesso tempo, incentivi le attività produttive orientate al profitto, nel rispetto dei vincoli ambientali. Si auspica un’economia ugualmente florida ma più equilibrata e un progresso sociale che sia equamente distribuito. Un passaggio epocale dunque che coinvolge da un lato i macro-attori quali i governi, le banche e il sistema finanziario, l’apparato produttivo ed energetico, le istituzioni internazionali che devono scegliere politiche condivise e strategie innovative perchè ciò avvenga; dall’altro le popolazioni che devono modificare le loro abitudini comportamentali ormai radicate, orientandosi sempre più verso nuove logiche, abbandonando in primis il consumismo sfrenato degli ultimi decenni e assimilando nuove abitudini meno impattanti sull’ambiente. Gli obiettivi cui si auspica entro la metà del secolo, sono legati ad un cambiamento dei fondamenti dell’economia classica, attraverso sinergie e accordi tra i Paesi del mondo, tali da poter garantire una vita ugualmente dignitosa, ma indipendente dai combustibili fossili. E’ questa nuova politica economica che i Paesi occidentali stanno adottando, nonostante le azioni lobbistiche che tendono ad impedire alcuni processi. Ma sono orientati in questa direzione anche altri protagonisti dell’economia mondiale degli ultimi tempi, come la Cina. Basti pensare che il dodicesimo piano quinquennale (2011-2013) del governo cinese è orientato verso la ricerca di un equilibrio tra la crescita economica e l’uso delle risorse. La Cina, che è uno dei Paesi la cui crescita economica ha avuto un grosso impatto ambientale divenendone addirittura il primo Paese inquinante dell’intero pianeta, è stata lungimirante nell’ acquisire la consapevolezza che le risorse non sono illimitate. Infatti, essa ha previsto grossi investimenti nelle fonti di energie rinnovabili, nel risparmio energetico, nell’edilizia ecosostenibile, nella prouzione di veicoli a scarso impatto ambientale e una serie di attività che proteggano gli ecosistemi invece di distruggerli; addirittura una nuova rete di distribuzione dell’energia elettrica. Quindi se da un lato, è palese che il fattore scatenante della ricerca di nuove forme di investimento e di profitto abbinate ad una maggiore coscienza che è necessario salvaguardare un pianeta già abbondantemente sfruttato nelle sue risorse e scarsamente tutelato nella sua integrità, è stata la crisi finanziaria; dall’altro si sta giungendo ad una maggiore sensibilità verso a salvaguardia del pianeta. Nell’incertezza e nell’instabilità totale è già partita la corsa globale verso l’accesso all’energia, alla suddivisione delle quote di mercato che essa produce e la competitività cresce quotidianamente. E’ in quest’ottica, cui aderisce l’intera Unione europea, che si inserisce la politica di incentivazione del Governo italiano per la produzione di energia da fonti rinnovabili. A questo si aggiunge l’adesione anche dell’Italia al Protocollo di Kioto, che prevede per ogni Paese la riduzione di Co2 nell’atmosfera del 20%. L’economia ha bisogno proprio in questo momento di nuovi stimoli per riavvarsi e creare nuova occupazione, quella che viene definita “l’occupazione pulita”. Gli economisti stanno studiando le strategie insieme ai governi; gli investitori con le loro società hanno individuato in questo settore una possibilità di crescita economica. Ciò che rimane da fare è sensibilizzare le popolazioni. Anche se il mondo oggi viaggia a velocità supersonica, e si è diventati più predisposti ad adeguarsi ai cambiamenti sempre più repentini, riuscire a diffondere alcuni cambiamenti culturali, resta comunque la cosa più difficile da fare, specie in alucne aree. La cattiva informazione o la non informazione, spesso il timore del nuovo e la secolare lentezza italiana nell’accettare i forti cambiamenti un pò per cultura, un pò per mancanza di risorse, un pò per il periodo di forte crisi internazionale che stiamo attraversando, rallentano alcune trasformazioni che sono naturali nella storia dell’economia, alla stregua dei grandi cambiamenti climatici e ambientali. Si tratta di creare una sinergia tra le aziende che già operano nel settore e tutte le componenti della società pubbliche e private, per continuare nel lavoro di sensibilizzazione culturale su questi temi a tutti i livelli.