Magazine Cinema
Noah Baumbach, 2010 (USA), 107' uscita italiana: 8 aprile 2011
voto su C.C.
Appena dimesso da un istituto psichiatrico, Roger Greenberg (Ben Stiller) accetta l'invito del fratello Phillip (Chris Messina) a custodire per qualche settimana la sua villa losangelina. Ad attenderlo nella città degli angeli ci sono la affascinante tuttofare Florence (Greta Gerwig) e Mahler, cagionevole pastore tedesco di famiglia, ma soprattutto ci sono tutti i fantasmi della sua "vita passata" pronti a fare di nuovo capolino.
Noah Baumbach è un validissimo sceneggiatore. Già con le sue opere precedenti (in particolare con la collaborazione al piccolo capolavoro Le avventure acquatiche di Steve Zissou) ha dimostrato una grande sensibilità nel tratteggiare il profilo di personaggi insoliti, prigionieri di idiosincrasie, che faticano a condividere il mondo con il resto della intollerabile umanità. Così vede la luce Roger Greenberg, individuo odioso e scostante che sembra affascinare solo Florence, attratta dalla sua vulnerabilità e vittima della consueta sindrome già resa paradigma dal solito Hitchcock (Io ti salverò - 1945): in quell'abisso di autodistruzione la ragazza, reduce dalla fine di una storia importante, trova una nuova raison d'être. Salvare Greenberg è però un'impresa ardua, persino per uno dei personaggi più amabili dell'ultima stagione cinematografica, perché a Los Angeles il burbero newyorkese deve confrontarsi con tutti quelli che ha deluso quando, da giovane, ha mandato all'aria un importante contratto per la sua band. Sono motivo di infelicità gli (ex) amici che sono diventati uomini di successo senza di lui, ma anche Ivan (Rhys Ifans), salvato dal baratro di alcol e droga solo da una donna che Greenberg odia. È così più comprensibile la vita all'insegna dell'atarassia che Roger si è scelto, nella quale nulla sembra turbarlo né importargli particolarmente, ma si tratta di una vita in cui non può esistere la felicità. Solo Florence tenterà di salvare anche lui. In questo faticoso percorso di redenzione brilla la coppia di protagonisti Gerwig-Stiller, perennemente intenta in discussioni surreali e schermaglie simil-amorose; Baumbach si limita a seguirne le peripezie con una regia mai invadente, “da sceneggiatore”. Dà valore a ciò che ha scritto, lasciando la ribalta ai suoi personaggi. Il risultato è un film molto piacevole, che si perde però alla distanza.
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