Se per attaccare Grillo il non poco antipolitico Vendola l’ha accostato a Berlusconi, ciò significa che per la sinistra “politica” e “ragionevole” l’anatema contro il Caimano è ancora ben vivo. In realtà anche l’antiberlusconismo rientra nel cerchio magico dell’antipolitica. E il piccolo Grillo è solo un prodotto di questa più grande antipolitica. Scrissi qualche anno fa che per antipolitica intendevo “forme distruttive – anche se non necessariamente becere, eclatanti o rumorose – di azione e lotta politica.” Per essere ancor più concisi si potrebbe dire che l’antipolitica è messianismo politico, una non-politica. L’Italia repubblicana la vive e la respira da quando è nata. Andate in giro e fate una domanda semplice semplice alla gente che incontrate: l’Italia è o è mai stata una “vera” democrazia? La domanda è assurda, dal punto di vista del buon senso, ma anche da quello più propriamente intellettuale, perché la democrazia, come la politica, vive nel tempo e nello spazio, e non ha mai un approdo definitivo che ne suggelli definitivamente la bontà o la maturità. E tuttavia, c’è un gran pezzo del paese, e un grossissimo pezzo di quello più acculturato, che in tutta serietà pensa che l’Italia non abbia mai conosciuto una “vera” democrazia. E che cerca nelle Diaz e nelle Bolzaneto, nei misteri di stato, nelle “trattative”, la conferma di queste verità. Quest’Italia vive nell’attesa e si sottrae al confronto con l’avversario politico. Si sottrae alla politica, che è confronto con chiunque abbia una presenza reale nella società, e che spesso invece viene da essa dipinto come straniero, come non-cittadino del paese nato dalla Resistenza, e che quando è troppo forte viene solo “sopportato” come parentesi storica, alla stregua di un usurpatore, sia esso la DC, Craxi, o Berlusconi. Questa riserva mentale ha avvelenato la vita politica italiana, ed ha impedito una vera dialettica fra i partiti. In un sistema così asfittico la politica oscilla continuamente tra pura gestione e rivoluzione, tra partitocrazia e antipolitica, senza trovare un equilibrio funzionale. Ed è inutile sperare in soluzioni tecniche ad un problema culturale. Anche il continuo appellarsi a riforme istituzionali, a riforme elettorali, ed in generale tutta la retorica riformistica ubbidiscono in parte all’impulso irrazionale o alla speranza di voler mettere a posto le cose tutte in una volta con un colpo di bacchetta magica o con un colpo di mano.
Con buona pace del governatore della Puglia nel 1994 Berlusconi non vinse in nome dell’antipolitica. Non si può dire sempre tutto e il contrario di tutto, secondo le convenienze: dipingere un giorno la creatura berlusconiana come il rifugio dei gattopardi che permise alla vecchia politica di sopravvivere, perché questo schema va a pennello all’antipolitica profonda e classica della sinistra italiana, ed un giorno dipingerla come una forza rivoluzionaria e populista, perché quest’altro schema serve a squalificare gli ultimi e più esagitati prodotti della stessa antipolitica. Berlusconi cercò, con molto pragmatismo, di conciliare il vecchio col nuovo. Fu disinvolto. Non opportunista. Fu coraggioso. E per questo fu attaccato dagli anticorpi maligni che in Italia hanno sempre preso di mira chi ha cercato di ingabbiare il radicalismo di molta parte della società italiana dentro la dialettica politica, chi ha cercato di essere moderato ma allo stesso “popolare” e ha mostrato di rifuggire da quell’aristocraticismo di stampo azionista che è l’altra faccia della medaglia, anch’essa nel fondo antiliberale e antidemocratica, del radicalismo di massa. Di quest’ultimo il movimento di Grillo, mezzo Eremita Pietro mezzo Savonarola, è una specie di manifestazione ereticale, tipica dei periodi torbidi.
[pubblicato su Giornalettismo.com]
Filed under: Giornalettismo, Italia Tagged: Antipolitica, Beppe Grillo, Nichi Vendola, Silvio Berlusconi