Lo confesso, sono un robot. Su twitter ho un account che secondo un ricercatore dello Iulm, Marco Camisani Calzolari sembra fatto apposta per apparire come una macchina. Ho una foto, ma non un indirizzo fisico e una biografia, invio regolarmente dei link, ma ho meno 30 persone che mi seguono e mai una volta ho usato hashtag. Per fortuna non sono follower di Grillo altrimenti non avrei proprio nessuna probabilità di essere umano: il Camisani sostiene infatti che il 54% dei fan del comico genovese sul social network dei cinguettii sono in realtà bot, ovvero macchine che gestiscono falsi account.
L’affermazione ha fatto scalpore, perché mirata su un personaggio che fa notizia e solo su di lui, ma in realtà, anche fosse vero, non sarebbe affatto strano visto che il 51% del traffico web è generato proprio da sistemi bot che servono alle più varie operazioni: dall’indicizzazione dei contenuti, allo spamming, allo spionaggio commerciale. E di fatto chiunque di noi abbia un sito può tranquillamente compare follower o fan per pochi soldi: le offerte sono davvero infinite e lo stesso Camisani prima della ricerca su Grillo aveva messo in luce questa realtà (qui, per esempio). Certo alla maggioranza delle singole persone questo trucco non interessa nulla, ma aziende, politici o magari siti commerciali hanno tutto l’interesse a mostrare di avere un grande seguito, anche se si tratta di un seguito muto che al massimo replica i post o clicca mi piace.
Tuttavia lo studio e la polemica mette in luce due fatti evidenti, oltre ai conosciuti strumenti di consenso per cui il prodotto più venduto è anche quello più desiderabile: il primo è che su una piattaforma di comunicazione interattiva com’è la rete, il semplice numero è uno strumento non solo insufficiente, ma rozzo e assai meno significativo di quanto possa essere il livello dell’audience per la televisione. Il secondo è che il peso dei robot è tanto più alto quanto minore è il reale contenuto informativo della comunicazione sia essa di un sito, di un profilo o di un social network: non è un caso che le 140 battute di Twitter siano, in quest’ultimo campo, il terreno più favorevole alla robotizzazione, con buona pace di quei giornali che appassionatamente seguono le vicende degli hashtag, come fossero la vox populi.
Se fossi in Grillo non mi preoccuperei troppo, perché è in buona compagnia di colleghi dello spettacolo, della politica e forse pure di qualche grande giornale. Per ciò che mi riguarda quello che mi preoccupa è la riduzione della realtà a una manciata di parole e il successo che incontra la compressione di tutto alla battuta, all’invettiva o all’asserzione : somiglia troppo alla negazione di verità e alla rassegnazione. Così non è tanto la presenza di robot nella rete che può destare meraviglia, quanto la sempre maggiore sovrapponibilità dell’umano al robotico. Ogni tanto tocchiamoci, per vedere se siamo fatti di carne e ossa.
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