Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri è andato in onda il trailer del nuovo film del filone catastrofico – apocalittico. La Carnival Sunshine, delle Carnival Cruise Lines, (oltre 102mila tonnellate di stazza, lunga 272 metri e larga 35 e alta 62) ha quasi sfiorato la Riva dei Sette martiri, passando a meno di venti metri ,dalla lunga fondamenta e stringendo tra mostro e riva un vaporetto pubblico e altre imbarcazioni. Come per l’alta velocità in Spagna, morti bianche in fabbrica e rimpatrio di kazake si tratterebbe di un errore umano dell’esecutore finale di ordini e inchini.
In questi giorni, non solo per via dell’anniversario, soffriamo di nostalgie rivoluzionarie: anche per il tentativo, sancito nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, di stabilire il principio di responsabilità, laddove si asserisce solennemente che «la Società ha il diritto di chiedere conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione » eh si, ci piacerebbe che oltre a Schettino, al comandante della Carnival Sunshine, ai dirigenti della Carnival Cruise Lines, si chiedesse conto della catastrofe letteralmente sfiorata anche al sindaco Orsoni, a Paolo Costa presidente dell’Agenzia Portuale, al Ministro Lupi che sta vagliando ipotesi alternative per spostare la piccola apocalisse su altra traiettoria, al Ministro Orlando che si limita a raccomandare “interventi di riduzione del rischio per il periodo transitorio”, al Ministro dei Beni Culturali Bray, ancora più taciturno e accidioso del silente Ornaghi.
Non deve stupirci che il “prossimamente su questi schermi” non sortisca effetto alcuno, la Grecia insegna che siamo resistenti ad apprendere non solo le lezioni della storia, ma neppure gli spot dell’attualità. Così si auspica prudenza, ci si augura che i comandanti non facciano troppi brindisi al loro tavolo con crocieristi eccellenti, che le insistenze degli armatori a prodigarsi in strusci e inchini spericolati siano meno pressanti, in attesa che venga trovata la famosa “alternativa”, della quale si è parlato giovedì della scorsa settimana in un vertice promosso da Lupi che non cede sulla necessità di non penalizzare la profittevole industria delle crociere.
In barba alla sicurezza, all’ambiente, all’Unesco, alla tutela del patrimonio artistico e culturale, al buonsenso e alla lungimiranza, negli ultimi 15 anni il traffico crocieristico è cresciuto a Venezia in maniera esponenziale: i passeggeri sono aumentati del 439 per cento e il numero delle toccate (gli attracchi delle navi) è passato da 206 nel 1997 a 655 nel 2011 (1418 toccate complessive calcolando anche traghetti e navi veloci). Con un milione e 795 mila passeggeri imbarcati o sbarcati nel 2011, Venezia è diventata il primo “home port” crocieristico del Mediterraneo e la tendenza si è confermata anche nel 2012 con un milione e 775.944 passeggeri per 661 toccate.
Dopo l’incidente davanti all’isola del Giglio il governo Monti aveva emanato un decreto con cui vietava alle navi di oltre quarantamila tonnellate di percorrere il canale della Giudecca. È stato ignorato. Malgrado il decreto e l’appello ufficiale di dell’Unesco, in attesa del piano di gestione del Comune di Venezia, condizione necessaria al mantenimento dello status di sito patrimonio dell’Umanità, i mostri percorrono indisturbati il loro itinerario. E il famoso piano di gestione che è stato presentato, prodotto da immarcescibili pesci in barile a fronte della proliferazione di pesci marci nei canali, rivela la preoccupazione di disturbare il manovratore. 157 pagine frutto della consultazione di 250 organizzazioni, escluso soltanto il comitato NoGrandiNavi, 136 proposte il piano sfiora appena il problema suggerendo indagini sull’impatto delle navi da crociera da un punto di vista ambientale e socioeconomico, ma sottolineando come le soluzioni debbano tener conto di “ un’ottica di valorizzazione del porto di Venezia quale patrimonio storico, economico e sociale di Venezia e della sua Laguna”, parole tolte di bocca al presidente dell’Autorità portuale, orgoglioso che, sotto la sua gestione, il porto veneziano sia diventato il più importante del Mediterraneo per l’industria delle navi da crociera.
Il trionfalismo del presidente Costa dimentica di fornire dati attendibili sui vantaggi per la città:
Si arriva così alla questione del turismo. A Venezia e dintorni, “passano” 6,3 milioni di visitatori l’anno che, moltiplicati per il numero medio dei giorni di sosta, fanno 23 milioni di “presenze”. Ma la maggior parte si trattiene un solo giorno e di solito in gruppi numerosi, quelli che portano cacca e pipì, bivaccano nel salotto del mondo, portandosi nello zaino anche la bottiglietta d’acqua
minerale. E se comprano una maschera o una gondola col carillon o un animaletto di vetro, è probabile che siano prodotti autentici del made in China.
Si tratta di un turismo toccata, anche piuttosto violenta, e fuga, che tradisce il primo obiettivo che dovrebbe prefiggersi: incoraggiare gli indigeni a restare nel centro storico, favorendo lo sviluppo e il consolidamento delle attività dell’accoglienza, dei servizi e artigianali. Ma anche in questo caso, ci sarebbe bisogno di governi a tutti i livelli territoriali, responsabili e interessati all’interesse generale e non ai profitti di pochi, che avesse il coraggio di introdurre misure di limitazione o almeno di regolazione dell’accesso, e una politica di investimenti compensativi, in modo che l’economia del turismo globale sia obbligata a promuovere tutela ambientale e manutenzione del patrimonio artistico.
L’impatto visivo delle navi in Bacino offende la bellezza, gli effetti idrodinamici provocati dal passaggio delle navi su un tessuto urbano antico, fragile e delicato o sull’ambiente lagunare (dislocano migliaia di tonnellate, quando passano l’acqua nei rii cala d’un colpo di 20 e più centimetri per il risucchio) attenta all’equilibrio e oltraggia le ricchezze artistiche e la storia. Lo smog d’alto bordo, secondo l’Arpav, dimostra che il traffico croceristico è a Venezia il maggior produttore di inquinamento atmosferico: la produzione di polveri sottili è praticamente pari a quella prodotta dal traffico automobilistico di Mestre, se ogni nave inquina come 14 mila automobili, soprattutto quando è all’ormeggio.
Ma è chiaro che, come d’abitudine, l’alternativa non è dire no. Non è tenere i mostri e i pericoli fuori dal sistema-Venezia, e nemmeno limitare un’utenza sgangherata e velenosa come fa la Giordania con Petra, l’India col Taj Mahal, la Tailandia coi suoi templi, il Messico con le sue piramidi e l’Egitto con la Sfinge.
Le ipotesi allo studio del pool di cervelli governativi e ministeriali sono come al solito pesanti, per l’economia e l’ambiente, canali, scavi, percorsi che si incrociano pericolosamente con l’altro mastodonte, il Mose e le sue paratie in perenne costruzione di cemento e malaffare.
Eppure l’alternativa c’è. Basta dire di no. E’ la libertà che ci resta. Ricordiamocene.