“Come diamine facevano a sapere cosa mi girava per la testa e mi pulsava nelle vene? Come avevano fatto a scrivere proprio quella canzone che mi faceva sentire così selvaggiamente viva? Volevo essere parte di quel segreto cosmico. Volevo avvicinarmi a tal punto alla musica da poterla toccare e niente sarebbe riuscito a fermarmi”
Pamela Des Barres scrive queste parole nell’introduzione al suo ultimo libro, Let’s spend the night together. Evoca un mondo ormai scomparso, simile eppure diametralmente diverso da quello presente. Un mondo che qualcuno ha vissuto sulla propria pelle come una rivoluzione in atto, e che qualcuno può assaporare solo attraverso le pagine di un libro o lo schermo di un cinema. Al centro di tutto, la musica e i musicisti. E poi loro, che si intrufolano come comparse e conquistano con le unghie un ruolo sempre più importante. Invidiate, osannate, criticate, ormai leggenda. Le groupies.
Le groupies: chi erano
Difficile definire la parola groupie. Ogni tentativo di spiegare precisamente cosa significhi è direttamente influenzato dal parere individuale al riguardo. Il termine comincia ad essere usato attorno al 1967, nonostante il fenomeno fosse più antico (Mary McCarthy lo descrive nel romanzo The company she keeps del 1942); secondo alcuni, fu coniato dal bassista dei Rolling Stones Bill Wyman. Una definizione oggettiva potrebbe essere la seguente: le groupies sono ragazze che nutrono una forte passione nei confronti di una band e che decidono di seguirla durante il tour, cercando di avvicinarsi ai musicisti per intraprendere con loro una relazione. Tale relazione è solitamente sessuale, ma un coinvolgimento emotivo non è escluso a priori.
Dunque è solo sesso? Non proprio. Basta leggere le parole di Des Barres o qualsiasi intervista alle grandi groupies del passato per rendersi conto che non è tutto qui. C’è anche un desiderio fortissimo, irrefrenabile di essere parte di ciò che sta succedendo. Sono gli anni Sessanta e Settanta. La musica rock raggiunge le sue vette più alte senza nemmeno esserne consapevole. I musicisti che calcano i palchi durante quegli anni non lo sanno, eppure saranno guardati come ispirazione per sempre. E forse è proprio questa inconsapevolezza a creare un’atmosfera impossibile da recuperare: tutto è nuovo, tutto è un sentiero da battere, le emozioni e le situazioni non sono state già viste in film di serie b o lette in romanzi nostalgici. Tutto è lì, in quel momento. Tante ragazze vogliono farne parte. E qualcuna ci prova davvero.
Essere parte di qualcosa, dunque. E sarebbe in effetti sciocco ridurre il ruolo delle groupie a “ragazze che vanno a letto con la band”. Viaggiano con i musicisti, li seguono in buona parte dei loro tour, e poi dopo la data finale prendono un aereo e si uniscono a un’altra band. Li supportano, spesso sono muse ispiratrici delle loro canzoni, vivono con loro quel mondo folle ma impossibile da abbandonare. Spesso sono amiche, consigliere, aiutanti, diventano in tutto e per tutto parte della crew. Le parole di Robert Plant, storico cantante dei Led Zeppelin, sembrano sostenere questa visione, distinguendo tra le fans interessate solo ad un breve incontro sessuale con gli artisti e le groupies, che prendono parte al tour e diventano dei veri e propri sostegni dei musicisti.
Non solo sesso, insomma. Eppure sarebbe ipocrita sostenere che il sesso fosse di poca importanza. Spesso era la cosa più importante, almeno all’inizio. Sono le groupie stesse a dichiarare il loro desiderio di avere relazioni sessuali con i musicisti, con più musicisti possibili, affascinate probabilmente dall’aura dell’artista dalla quale tutti si sono lasciati affascinare almeno una volta. In alcuni casi, queste relazioni di sesso, amicizia e supporto si trasformavano in veri e propri rapporti sentimentali. In altri casi, erano un passatempo divertente per qualche leg del tour.
La già citata Pamela Des Barres è probabilmente la più famosa groupie della storia, anche grazie ai libri da lei scritti sull’argomento negli ultimi anni. Accanto a lei, Cynthia Plaster Caster, che ha ispirato la canzone Caster Plaster dei Kiss, conosciuta per avere fatto calchi dei peni di varie rockstars con le quali ha avuto rapporti.
Analisi e critiche
Nel corso degli anni la figura della groupie è stata criticata da molti fronti. Uno degli appellativi che viene loro riservato è “prostituta” (nelle sue variabili più volgari e fantasiose). L’ideologia dell’ottenere denaro in cambio di prestazioni sessuali, però, non è mai stata parte dell’ottica groupie.
Ci sono poi le critiche più profonde, quelle che danno da pensare. C’è chi ha definito le groupies contrarie alla rivoluzione sessuale propria di quegli anni. Eppure in un certo senso esse ne rappresentano l’essenza. È inutile girarci attorno nascondendosi dietro a inutili sofismi: facevano sesso perchè avevano voglia di fare sesso. Magari con molte persone diverse. Senza legarsi con qualcuno in particolare. Vivendo la propria sessualità in modo decisamente opposto rispetto all’ideologia portante. Questo, però, non era proprio ciò per cui si combatteva? Una sessualità più libera, scevra da pregiudizi di sorta, e soprattutto un mondo nel quale il fatto di provare desiderio sessuale non fosse visto in modo negativo. Che fosse una vita particolare è sicuro. Che molti abbiano ambizioni differenti, sacrosanto. Ma forse criticare in modo cieco tale comportamento non è altro che segno di una frustrazione inconscia e, sotto sotto, di invidia. Era una scelta. Una scelta che, nella maggior parte dei casi, le ragazze prendevano autonomamente, in modo del tutto libero. Sembra, insomma, che si ricada sempre nello stesso tranello: ritenere immorali determinate scelte solo perchè non le si condivide in prima persona. È significativo, poi, il fatto che raramente vengano mosse critiche dirette ai musicisti, che a loro volta di relazioni sessuali ne hanno intrattenute tante (e forse la parola “tante” è riduttiva).
Un aspetto che spesso viene sottolineato è il fatto che la quasi totalità delle groupie fossero donne. È vero. Si conosce il nome di un solo uomo che intraprese questa strada, Pleather, fan delle Bangles. Di nuovo, però, è il caso di contestualizzare: la stragrande maggioranza dei musicisti erano uomini. L’interesse era quindi circoscritto a due gruppi: le donne e gli uomini omosessuali. Erano gli anni della rivoluzione sessuale, ma la situazione non era ancora cambiata a tal punto da rendere socialmente accettata l’omosessualità, così come per certi versi non lo è tutt’ora. Facile capire, dunque, come mai le groupies fossero le groupies e non i groupies.
L’ira nei confronti delle groupies, allora, non è nient’altro che una variazione sul tema dell’estremo imbarazzo che ancora oggi circonda la sfera sessuale femminile? Possibile. Di certo sarebbe il caso di pensarci su. E magari, tra tanta disapprovazione, provare anche un po’ di ammirazione per una Pamela Des Barres sessantenne che vent’anni fa, nel suo I’m with the band, affermava di non avere alcun rimpianto e scriveva “Sono diventata amica degli uomini che hanno fatto la musica che ha cambiato il mondo e li ho adorati. È stata un’epoca, e questo lo so per certo, che non tornerà mai più. Sono stata al centro della rivoluzione musicale e la mia anima volteggiava nell’aria. I Beatles cantavano All you need is love, e io ho fatto in modo di dimostrare che avevano ragione“.
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