A volte abbandono quella clinica psichiatrica camuffata da luogo di lavoro per recarmi altrove. Concettualmente non c’è molta differenza perché si tratta sempre di un qualcosa di altro (turpe, illogico, deprecabile, involontariamente esilarante) travestito da attività produttiva.
Spesso ho a che fare con enti regionali o, in generale, pubblici che si occupano di formazione, con agenzie e con uffici che si occupano di lavoro e di gestione delle risorse. Il denominatore comune di questi carrozzoni burocratici è che c’è gente che non fa un cazzo tutto il giorno. Forme di vita basate sul carbonio retribuite più o meno lautamente per simulare l’attività neurale di amebe morte.
È straordinario come il nulla possa trovare realizzazione e concretezza in esseri umani all’apparenza normodotati.
È stupefacente come i teoremi del fancazzismo ereditati da cinquant’anni di democrazia cristiana e clientelismo possano essere deflagrati in modo così superbo e perfetto.
È meraviglioso come il privilegio e l’abulia interiore si siano pervicacemente introdotti nelle pieghe lardose e sudaticce del suinico organismo sociale generando muffe e spore.
Lo sapete tutti.
Lo sappiamo tutti.
Ci sono enti dove vige la norma operativa del panino con la frittata.
Ci sono uffici dove c’è gente che di fatto è pagata per leggere il giornale.
C’è gente che non fa un cazzo tutto il giorno.
Intendiamoci: io non mi scandalizzo e non punto il dito contro nessuno. Non sono un novello censore pronto ad ergersi a giudice e a scagliare anatemi flatulenti contro il malcostume imperante. Non sono affatto indignato: la mia meschinità interiore e la mia bassezza morale vanno di pari passo con la mia disarmante e disarmata onestà.
L’unico sentimento che provo nei confronti di costoro è l’invidia.
Mi piacerebbe essere al loro posto. Lo ammetto con candore quasi fanciullesco.
Mi piacerebbe fare come hanno fatto quei tizi che timbravano il cartellino e se ne andavano a spasso. A fare la spesa. O in palestra.
A chi non piacerebbe? Diciamo la verità.
Mi piacerebbe essere pagato per non fare un cazzo tutto il giorno e/o pensare ai beati ed infiocchettati cazzi miei.
Il fatto è che se lo fanno è perché effettivamente c’è la possibilità di farlo. Evidentemente non hanno mansioni da svolgere, non hanno lavoro da fare. Cioè timbrano il cartellino, vanno nell’ufficio e sulla scrivania non c’è nulla. Niente pratiche da evadere. Documenti da lavorare. Niente di niente. Il loro lavoro in realtà non c’è. Perché è stato creato apposta così. Una struttura vuota, priva di sostanza, che non serve a nulla perché non fa nulla. Che non eroga alcun servizio. In altre parole se il loro lavoro avesse un riscontro, cioè servisse nel porre in essere qualcosa, qualsiasi cosa di necessario alla comunità, lo farebbero. Sarebbero costretti a farlo. Se non fanno un cazzo è perché non c’è un cazzo da fare.
L’idraulico aggiusta i tubi, l’elettricista gli impianti della corrente, l’insegnante insegna.
L’impiegato del ministero dovrebbe “impiegateggiare”: fare quel qualcosa che qualifica, definisce e realizza il suo lavoro. Se quel qualcosa non c’è egli non fa nulla.
“Il camionista” sta al “trasportare merci” come “l’impiegato” sta a “cosa”?
Teoricamente qualcosa che non serve a niente non dovrebbe esistere. Che te ne fai della macchina per tagliare il brodo? Ma alla fine questi non luoghi esistono e sappiamo tutti perché.
Una volta andai in un ente per la tutela dei beni culturali ed archeologici. C’era uno stanzino che era stato progettato come camera oscura: in previsione delle centinaia di foto che si prevedeva di realizzare era stato ritenuto sensato allestire uno studio fotografico in piena regola. Il locale però era stato convertito in cucina. In frigo c’erano birre e bevande per rinfrancare dall’arsura estiva e non mancava il necessario per improvvisare un’allegra spaghettata.
Se fossi contrario a questi contesti li definirei come manifestazioni di un’utopia meravigliosa che entra nel culo del contribuente come una supposta ben oliata. Una supposta a base di glicerina e fulminato di mercurio. Ben unta che quando entra non senti nulla.
In realtà non sono né favorevole né contrario. Esistono da sempre ed esisteranno chissà per quanto tempo ancora. Sono solo invidioso. Perché io come molti per guadagnare il pane che mangio e la carta igienica con cui mi pulisco il culo devo sputare sangue.
Non dico di sopprimerli. Né gli enti né chi ci lavora. Perché alla fine se esistono è perché c’è chi permette che esistano: i politici, i clientes, i maneggioni che stanno sempre in mezzo a queste situazioni, ma anche la gente comune che sbadiglia e i disoccupati che dovrebbero tirare molotov contro le sedi di questi organismi.
Però sarebbe bello attuare una perequazione professionale su rotazione del posto di lavoro in base alla quale chi è stato per vent’anni in questi posti se ne faccia almeno cinque in catena di montaggio fabbricando bulloni e mettendoli in dima.
Se ciò avvenisse credo che la democrazia e l’uguaglianza sancite dalla costituzione e dal buonsenso troverebbero una encomiabile attuazione.
La dignità individuale e comunitaria forse un po’ meno, ma francamente l’etica ormai è solo una pastoia intellettuale per nostalgici che vivono fuori dal tempo. Credo sia necessario stare al passo con i tempi ed essere pragmatici. E quando sentirò la legge morale dentro di me che ribolle imperiosa, allora saprò che tutto il decoro di cui sono capace sarà in procinto di uscire.
Dal culo.